Telescopio Dispositivo che permette di
osservare oggetti lontani e di debole luminosità, fornendone un’immagine
ingrandita e più luminosa. Costituisce il principale strumento di indagine
per la ricerca astronomica.
Il tipo di telescopio più diffuso è quello ottico, nato all’inizio del
XVII secolo: mediante un sistema di lenti e specchi, raccoglie la luce
visibile emessa dagli astri o riflessa dai pianeti e la fa convergere in
un punto detto fuoco, dove è collocata una seconda lente o un altro
dispositivo di rivelazione che restituisce l’immagine all’osservatore.
Accanto a quello ottico, esistono diversi altri tipi di telescopio, messi
a punto a partire dalla seconda metà del Novecento per raccogliere e
rivelare tutte le altre radiazioni dello spettro elettromagnetico presenti
nel cosmo: onde radio, microonde, raggi infrarossi, ultravioletti, raggi X
e raggi gamma. Oggi la ricerca astronomica procede quindi grazie all’uso
combinato di telescopi ottici, radiotelescopi, telescopi agli infrarosso,
agli ultravioletti, a raggi X e gamma, installati a Terra o messi in
orbita al di sopra dell’atmosfera.
Nella sua forma più semplice, un telescopio ottico è costituito da due
lenti convesse poste alle estremità di un tubo o di una struttura rigida
detta ragno, che le mantiene allineate e a debita distanza. La prima lente
– l’obiettivo – produce un'immagine capovolta dell'oggetto osservato,
mentre la seconda – l'oculare – ingrandisce l'immagine fornita
dall'obiettivo. Questo particolare modello di telescopio prende il nome
specifico di cannocchiale, telescopio rifrattore o telescopio diottrico.
Nei cosiddetti telescopi riflettori o catottrici, invece, l'obiettivo non
è una lente, ma uno specchio. Esiste poi un terzo tipo di telescopio
ottico, detto catadiottrico, in cui la focalizzazione dell’immagine viene
realizzata con un sistema combinato di lenti e specchi. In genere, i
grandi telescopi astronomici sono del tipo riflettore.
2.1 |
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Caratteristiche
fondamentali |
I principali parametri che permettono di definire il potere di
ingrandimento e la sensibilità di un telescopio sono la distanza focale,
l’apertura e il rapporto di apertura. Il primo rappresenta la distanza tra
uno specchio (o una lente) e il suo fuoco e influisce sul potere di
ingrandimento dello strumento. Nel caso di un sistema ottico a due lenti,
e quindi del telescopio, il potere di ingrandimento è dato dal rapporto
tra le distanze focali delle due lenti.
L’apertura rappresenta sostanzialmente il diametro della lente (o dello
specchio) principale, ed è importante per definire la sensibilità dello
strumento, vale a dire, la sua capacità di rivelare oggetti di debole
luminosità: maggiore è l’apertura, maggiore è la sua capacità di
raccogliere luce e di creare quindi immagini luminose e contrastate. In
alcuni casi, le caratteristiche di un telescopio si esprimono anche
mediante il rapporto di apertura (o apertura relativa), il rapporto tra la
distanza focale e l’apertura dello strumento.
2.2 |
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Telescopio rifrattore |
In un telescopio a rifrazione, l’obiettivo è costituito da una lente
convessa (più spessa al centro e più sottile ai bordi). Questo tipo di
lente ha la proprietà di concentrare i raggi luminosi che incidono su di
essa in un unico punto, detto fuoco.
Il telescopio a rifrazione non è il più utilizzato per osservazioni
astronomiche ad alto livello. Esso pone infatti alcuni problemi non
trascurabili. In primo luogo, è sempre affetto da aberrazione cromatica,
un difetto di focalizzazione che consiste nella messa a fuoco
differenziata di ciascuna delle componenti cromatiche della luce. Questo
significa che i colori dello spettro luminoso vengono messi a fuoco non in
un unico punto, ma in punti diversi, a causa del diverso indice di
rifrazione per ciascuno di essi. L’immagine appare quindi di debole
intensità e circondata da un alone colorato. In genere, per ridurre questo
effetto, si utilizza come obiettivo non una singola lente, ma un sistema
di più lenti combinate.
Un altro limite dei telescopi rifrattori è il loro peso negli strumenti
più grandi: per avere prestazioni migliori si tende a realizzare lenti
sempre più ampie, e quindi più pesanti (una lente di 100 cm di diametro
pesa più di mezza tonnellata). Per poter sostenere l’obiettivo di un
telescopio rifrattore, tuttavia, non è possibile montare un sostegno
posteriore, perché ostruirebbe il passaggio della luce attraverso la
lente; l’unico sistema è un fissaggio ai bordi, che per i telescopi più
grandi non è sufficiente. Per tutti questi motivi, i più diffusi telescopi
astronomici sono del modello a riflessione.
2.3 |
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Telescopio riflettore |
Il primo modello di telescopio a riflessione fu ideato da Isaac Newton per
risolvere il difetto dell’aberrazione cromatica. Egli sostituì la lente
dell’obiettivo con uno specchio concavo che, sfruttando il fenomeno della
riflessione anziché della rifrazione, non pone alcun effetto di
distorsione cromatica (la riflessione avviene allo stesso modo per tutte
le lunghezze d’onda). Lo specchio di un telescopio newtoniano – concavo –
svolge così la stessa funzione della lente convessa di un telescopio
rifrattore: raccoglie la luce e la fa convergere in un unico punto, detto
fuoco.
Il telescopio a riflessione vanta una notevole sensibilità e permette di
osservare oggetti anche molto poco luminosi. La sensibilità alla luce
aumenta con il quadrato del diametro dello specchio, quindi un raddoppio
del diametro produce un aumento quadruplo della sensibilità e una notevole
riduzione dei tempi di esposizione. I più grandi telescopi riflettori
possono rivelare oggetti che sono milioni, o anche miliardi di volte meno
luminosi delle stelle più deboli visibili a occhio nudo.
Lo specchio di un telescopio riflettore è in genere di forma parabolica o
iperbolica, due conformazioni che garantiscono la precisione nella messa a
fuoco. La realizzazione di questo tipo di specchi è molto delicata perché
la curvatura della superficie non è costante. Il materiale con cui vengono
realizzati, inoltre, deve avere particolari proprietà di durata e
resistenza: un tempo, il tipo di vetro più utilizzato era il pyrex; oggi
si impiegano composti vetroceramici, più resistenti alle variazioni di
temperatura. La levigatura del pezzo grezzo viene effettuata mediante uno
strumento automatizzato, che permette di eliminare le più piccole
imperfezioni (fino a una scala di grandezze dell’ordine dello spessore di
un capello umano). Al termine, viene depositato sulla faccia posteriore un
sottile strato di alluminio.
2.4 |
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Modelli di telescopio
a riflessione |
Esistono essenzialmente tre modelli di telescopi riflettori. Quello
originale, newtoniano, è costituito da un tubo chiuso di cui lo specchio
principale, di forma parabolica, è collocato sul fondo. La luce entra nel
tubo e va a riflettersi sull’obiettivo, che la invia su uno specchio piano
posto davanti a esso, inclinato di 45°; questo la devia a sua volta in
direzione dell’oculare, che è collocato all’esterno del tubo, in una
posizione accessibile all’osservatore. L’impianto newtoniano, con
l’oculare in posizione laterale, è adatto a strumenti di piccole
dimensioni, ed è quindi molto diffuso tra i telescopi amatoriali.
Nel 1672 l’astronomo francese Cassegrain propose un modello alternativo a
quello di Newton, che migliorava l’accessibilità all’oculare. Nel
telescopio Cassegrain, la luce incidente si riflette su uno specchio
concavo primario e poi su uno specchio convesso secondario, che la rimanda
in direzione del primario, al centro del quale è praticato un foro;
attraverso questo foro, la luce passa per andare a focalizzarsi in
corrispondenza dell’oculare. Sono di tipo Cassegrain molti dei più grandi
telescopi oggi esistenti.
Negli anni Trenta, infine, Bernard Schmidt propose un altro modello di
telescopio riflettore, particolarmente adatto per le applicazioni
fotografiche. In realtà non si tratta di un riflettore puro, ma di un
modello che combina lenti e specchi, detto anche catadiottrico. In questo
strumento, lo specchio primario è concavo e di forma sferica; la luce in
entrata incide su di esso dopo essere passata attraverso una lente
correttiva che compensa preventivamente il difetto di aberrazione sferica
dello specchio primario. La luce riflessa va quindi a focalizzarsi su una
superficie curva, su cui è applicata la pellicola fotografica. Il
principale vantaggio di questo modello consiste nel consentire la ripresa
di ampie porzioni di cielo: per telescopi di dimensioni medie, circa 40°
quadrati.
2.5 |
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Fotografia
astronomica e registrazione delle immagini |
L’immagine che si compone nel fuoco dell’obiettivo di un telescopio ottico
può essere raccolta da una semplice lente oculare o da un dispositivo
ottico o elettronico che ne permetta la registrazione. In questo secondo
caso, il telescopio viene generalmente dotato di un motore che consenta
all’osservatore di seguire il movimento apparente della volta celeste. Nel
caso di fotografie con lunghe esposizioni, infatti, il moto apparente del
cielo dovuto alla rotazione terrestre tende a far sfuggire gli oggetti
osservati dall’obiettivo e a produrre sulla pellicola fotografica non dei
punti luminosi, ma delle strisce nella direzione del moto.
Fino a qualche tempo fa, il principale strumento utilizzato per la
registrazione delle immagini astronomiche era la macchina fotografica;
oggi, dopo la messa a punto delle tecnologie a semiconduttori, si
preferiscono rivelatori a stato solido: i CCD (charge-coupled device),
chip di silicio suddivisi in milioni di elementi (pixel), che convertono
la luce in arrivo in carica elettrica rilevabile da un computer; ne
risulta un’immagine costituita da un mosaico di punti luminosi e oscuri.
Questi dispositivi a stato solido sono molto più sensibili della pellicola
fotografica e consentono di avere subito l’immagine codificata in forma
digitale, pronta per essere eventualmente sottoposta ad analisi o
elaborazione; inoltre, possono raccogliere non solo la luce visibile, ma
anche i vicini raggi ultravioletti e infrarossi.
A seconda della lunghezza d'onda della radiazione che si vuole raccogliere
e analizzare, si utilizzano strumenti specifici. Per le onde radio, che
hanno lunghezze molto maggiori di quelle della luce visibile, sono
necessari telescopi di notevoli dimensioni. La loro struttura è
paragonabile a quella di un grosso telescopio ottico riflettore: un’ampia
superficie parabolica raccoglie le onde provenienti dallo spazio e le
convoglia nel suo fuoco, dove è collocato il rivelatore. Non è necessario
che la superficie riflettente sia levigata quanto quella di un telescopio
ottico: le maggiori lunghezze d’onda in gioco consentono la presenza di
imperfezioni di dimensioni anche apprezzabili, in quanto pur sempre
trascurabili rispetto alle dimensioni dei segnali. Sono necessari invece
altri accorgimenti, dovuti alla debole intensità della maggior parte dei
segnali radio provenienti da sorgenti astronomiche. Si calcola che
l’energia associata a questo tipo di radiazioni, infatti, sia talmente
bassa da poter essere paragonata a quella liberata nell’impatto di un
fiocco di neve al suolo. Per questo, per rivelare segnali così deboli e
distinguerli dalle onde radio artificiali prodotte da stazioni terrestri,
è necessario che i radiotelescopi siano posizionati sul fondo di
avvallamenti naturali o in zone altrimenti schermate. Inoltre, è
necessario che siano dotati di un sistema di amplificazione capace di
rafforzare l’intensità del segnale. Numerosi e di varie dimensioni
svariate sono i radiotelescopi installati nel mondo; il più grande,
attualmemnte, è quello di Arecibo, a Puerto Rico, che vanta un diametro di
ben 305 m.
Anche i telescopi a infrarossi e a ultravioletti hanno un impianto analogo
a quello dei telescopi ottici riflettori, con opportuni strumenti di
rivelazione nei rispettivi fuochi. Nel caso degli infrarossi, sono
necessari accorgimenti per evitare interferenze con la radiazione termica
proveniente da qualunque corpo posto in vicinanza dello strumento; per gli
ultravilletti, la superficie riflettente deve essere rivestita di un
apposito materiale che renda più efficiente la riflessione. Parte delle
due bande – infrarossa e ultravioletta – non raggiungono la superficie
terrestre a causa della schermatura opposta dall’atmosfera; pertanto, i
telescopi destinati alla rivelazione di queste specifiche lunghezze d’onda
vengono inviati in orbita al di sopra dell’atmosfera (vedi
Satellite artificiale).
Alcuni dei telescopi a ultravioletti attualmente in orbita intorno alla
Terra sono l’International Ultraviolet Explorer, l’Extreme
Ultraviolet Explorer, l’osservatorio dello space shuttle ASTRO e lo
stesso Hubble Space Telescope. L’astronomia nell’infrarosso permette di
esplorare le regioni oscure della nostra galassia e dello spazio
intergalattico, alla ricerca di protostelle e sistemi planetari in
formazione, e di analizzare il comportamento delle comete, il nucleo delle
galassie e la nascita delle galassie più lontane. I telescopi a
ultravioletti, invece, sono adatti all’osservazione di gas interstellari,
di stelle giovani e aree gassose di galassie attive.
Per finire, i raggi X e i raggi gamma necessitano di strumenti più
specifici, con schermature di piombo o di altro materiale che evitino la
dispersione delle radiazioni, altamente ionizzanti. Un telescopio a raggi
X è costituito essenzialmente da una superficie riflettente, spesso di
forma cilindrica, e da uno specifico rivelatore. I primi telescopi a raggi
X nacquero negli anni Sessanta, ed erano semplici rivelatori puntati verso
le sorgenti. Oggi ne esitono di assai sofisticati. Tra questi, il
Chandra X-Ray Observatory della NASA e l’X-Ray Multimirror Mission
dell’ESA, entrambi in orbita intorno alla Terra. Un telescopio a raggi
gamma, invece, è costituito da due o più rivelatori gamma disposti in
fila; questa disposizione serve a selezionare le radiazioni provenienti da
una precisa direzione, e quindi da una specifica sorgente.
La paternità dell’invenzione del telescopio ottico è controversa. In
genere viene attribuita a Galileo Galilei, che costruì un cannocchiale nel
1609 e lo utilizzò per osservare i pianeti del sistema solare, fornendo le
prime prove dirette della teoria eliocentrica di Niccolò Copernico. Alcune
fonti sostengono tuttavia che il costruttore di lenti olandese Hans
Lippershey avesse realizzato un telescopio l’anno precedente, nel 1608.
Nei decenni che seguirono furono ideati diversi modelli di telescopio,
sempre del tipo rifrattore; Giovanni Keplero diede il suo contributo
progettando un telescopio astronomico a due lenti convesse (anziché con
una lente convessa combinata a una concava), successivamente costruito dal
gesuita tedesco Christoph Scheiner intorno al 1630.
L'invenzione dell'obiettivo acromatico, nel 1758, da parte dell'ottico
britannico John Dollond, e il miglioramento del vetro flint, a partire dal
1754, permisero ben presto la costruzione di più efficienti telescopi
rifrattori. Le lenti di Dollond avevano un diametro di soli 8-10 cm, che
potevano essere utilizzate su telescopi di dimensioni modeste. I metodi di
lavorazione di grandi dischi di vetro flint vennero scoperti alla fine del
XVIII secolo da Pierre Louis Guinand, un ottico svizzero che collaborava
con il fisico tedesco Joseph von Fraunhofer. La scoperta di Guinand
permise la costruzione di telescopi di 25 cm di diametro. Un altro grande
costruttore di lenti per telescopi fu l'ottico e astronomo statunitense
Alvan Clark il quale, nella seconda metà del XIX secolo, insieme al figlio
Alvan Graham Clark, costruì lenti non solo per i maggiori osservatori
statunitensi, ma anche per l'osservatorio imperiale russo di Pulkovo e per
alcuni istituti europei.
La realizzazione del primo telescopio riflettore si può far risalire agli
inizi del XVII secolo, quando il gesuita italiano Niccolò Zucchi utilizzò
una lente per osservare l'immagine prodotta da uno specchio concavo, ma fu
il matematico scozzese James Gregory che nel 1663 progettò un vero e
proprio telescopio a specchio. Il primo telescopio riflettore venne poi
costruito nel 1668 da Isaac Newton e, pochi anni dopo, fu pubblicato il
modello di Cassegrain.
Nel corso dei secoli successivi furono apportate diverse modifiche, che
contribuirono a migliorare le prestazioni dei telescopi ottici. Nel 1931
l'ottico tedesco di origine estone Bernhard Schmidt inventò il telescopio
catadiottrico, con un sistema ottico misto a riflessione e rifrazione,
particolarmente adatto per la fotografia del cielo a grande campo. Il
modello di Schmidt è dotato di una sottile lente a un'estremità e di uno
specchio concavo con una lamina di correzione all'altra; il più grande
strumento di questo tipo, equipaggiato con una lente di 134 cm e uno
specchio di 200 cm, si trova all'osservatorio Karl Schwarzschild di
Tautenberg, in Germania.
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I PIÙ GRANDI
TELESCOPI DEL MONDO |
Attualmente, il più grande riflettore del mondo è il telescopio di Keck,
del diametro di 9,82 m, installato presso l'Osservatorio di Mauna Kea,
nelle Hawaii (USA). Questo strumento è caratterizzato da un'importante
innovazione: la sua superficie riflettente è un mosaico di trentasei
tasselli esagonali, ciascuno dei quali è orientabile individualmente
mediante un sistema di tre pistoncini. Il sistema equivale a un unico
specchio del diametro di 10 m, ma i singoli tasselli, essendo molto più
sottili per le dimensioni limitate, sono anche molto più leggeri e dunque
non rischiano di deformarsi per il peso; inoltre, la segmentazione non
solo riduce la massa dello strumento, ma ne rende più semplice la pulizia.
I vari segmenti sono tenuti allineati da un apposito sistema elettronico.
A 85 m di distanza da questo imponente strumento ne è installato un altro,
il Keck II: le immagini ottenute dai due telescopi possono essere
combinate con una tecnica interferometrica già ampiamente utilizzata in
radioastronomia, migliorandone ancora di più la qualità.
Altri telescopi fissi che competono con quelli di Keck sono Subaru,
anch’esso installato presso l’Osservatorio hawaiano di Mauna Kea e dotato
di uno specchio di apertura pari a 8,3 m, e HET (Hobby-Heberly
Telescope), installato nel Texas (USA), con uno specchio principale di
9,2 m di diametro.
Il primato del telescopio di Keck è in realtà già superato dal VLT (Very
Large Telescope, Telescopio molto grande) costruito dall'ESO (European
Southern Observatory, Osservatorio europeo del Sud) e situato sul
monte Cerro Paranal, nel Cile settentrionale. Il VLT è costituito da
quattro telescopi del diametro di 8,20 m ciascuno, che possono operare
singolarmente o in combinazione: in questo secondo assetto lo strumento
equivale a un singolo telescopio di 16,40 m di diametro, e diventa quindi
il più grande telescopio ottico esistente. Il sistema opera con un'ottica
attiva: un analizzatore di immagini controlla permanentemente la qualità
delle immagini, utilizzando una stella di riferimento, e calcola istante
per istante le aberrazioni ottiche presenti. Un sistema di computer, poi,
trasmette le correzioni necessarie per compensare i difetti ai motori
degli specchi, che, cambiando curvatura e posizione, mantengono l'alta
risoluzione dell'immagine. Le immagini registrate dal VLT si estendono
dalle frequenze ultraviolette alle infrarosse. La prima unità del
telescopio è entrata in funzione nel maggio 1998, l’ultima nel marzo 2001.
I telescopi installati a Terra possono rivelare soltanto una parte dello
spettro elettromagnetico, vale a dire quella che riesce a penetrare
attraverso l’atmosfera: la luce visibile, parte dei raggi ultravioletti,
degli infrarossi e delle onde radio. Per rivelare le altre onde dello
spettro, è necessario collocare i telescopi al di sopra dell’atmosfera.
Soprattutto a partire dalla fine degli anni Ottanta, sono stati quindi
realizzati e installati numerosi telescopi spaziali.
Il primo telescopio ottico a essere collocato in orbita intorno alla Terra
è stato il telescopio spaziale Hubble (HST), in funzione dal 1990: grazie
alla sua posizione esterna all'atmosfera terrestre, può raccogliere
immagini precise e dettagliate, che non risentono della distorsione e dei
disturbi causati alla radiazione dall'atmosfera stessa.
Oggi, a più di dieci anni dalla messa in
orbita del telescopio spaziale Hubble, si parla della sua sostituzione con
uno strumento di gran lunga più grande e potente, il Telescopio Spaziale
di Nuova Generazione (NGST). Il nuovo telescopio, che secondo il programma
dovrebbe essere installato nel 2010 a circa 1,5 milioni di chilometri
dalla Terra, porterà il nome dell’uomo che guidava la NASA ai tempi della
conquista della Luna e si chiamerà James Webb Space Telescope. Sarà frutto
di una collaborazione della NASA con l’Agenzia Spaziale Canadese (CSA),
con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e con alcune grandi compagnie
aerospaziali. Il diametro dello specchio principale sarà di 6 m (quello
dell’HST è di “soli” 2,4 m), il che garantirà la possibilità di
raccogliere radiazioni luminose e infrarosse dalle regioni più remote
dell’universo, osservando fenomeni celesti avvenuti meno di un miliardo di
anni dopo il Big Bang. Le dimensioni straordinarie dello strumento,
tuttavia, porranno dei problemi di trasporto: per poter essere portato in
orbita con i veicoli spaziali convenzionali, l’NGSP dovrà viaggiare chiuso
come un ombrello, e aprirsi soltanto una volta raggiunta la sua orbita.
Campo di applicazione principale del Telescopio Spaziale di Nuova
Generazione saranno gli studi cosmologici sull’origine e l’evoluzione
dell’universo
TELESCOPIO RIFLETTORE
TELESCOPIO RIFRATTORE
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