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Le Costellazioni   |   Osservazione del cielo

Emisfero australe   |   Emisfero boreale

 

LE COSTELLAZIONI

 

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Emisfero australe   |   Emisfero boreale

 

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INTRODUZIONE

Costellazione Ciascuno degli 88 raggruppamenti di stelle nei quali è tradizionalmente suddivisa la sfera celeste. Si tratta di raggruppamenti ideali, a cui in genere non corrisponde un legame di tipo fisico: nella maggior parte dei casi, infatti, le stelle che compongono una costellazione appaiono vicine solo in virtù della particolare prospettiva da cui vengono osservate (dalla Terra), ma in realtà si trovano anche molto distanti le une dalle altre.

In passato, in alternativa al termine “costellazione” si utilizzava il meno comune “asterismo”; oggi con asterismo si indica più specificamente un raggruppamento di stelle all’interno di una costellazione propriamente detta. Ad esempio, può essere considerato un asterismo il gruppetto delle Iadi all’interno della costellazione del Toro.

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ORIGINE DELLE COSTELLAZIONI

Circa metà delle costellazioni a noi note ci è stata tramandata dai greci, i quali a loro volta le avevano ereditate dai babilonesi. I loro nomi, infatti, sono associati a figure religiose o mitologiche, oppure ad animali o oggetti dell'antichità; le raffigurazioni più antiche delle costellazioni che conosciamo si trovano su sigilli, vasi e tavole da gioco sumeriche risalenti al IV millennio a.C. La costellazione dell'Acquario, ad esempio, fu probabilmente così chiamata dai sumeri in onore del dio An che versa le acque dell'immortalità sulla Terra. Lo zodiaco venne poi suddiviso in 12 segni dai babilonesi intorno al 450 a.C.

Molti riferimenti alle costellazioni si trovano già in Omero e in Esiodo; un primo elenco ci è fornito dal poeta greco Arato di Soli che, nei suoi Phaenomena, diede una descrizione in versi di 44 costellazioni; l'astronomo e matematico Tolomeo, nel suo Almagesto, enumerò poi 48 costellazioni, 47 delle quali sono note ancora oggi con gli stessi nomi.

Nel passato molti altri popoli raggrupparono le stelle in costellazioni, benché queste normalmente non corrispondano a quelle della tradizione occidentale; un esempio ci è fornito dallo zodiaco cinese.

Alla fine del XVI secolo il navigatore olandese Pieter Dirckz Keyser e, successivamente, l'astronomo tedesco Johann Bayer, che pubblicò nel 1603 il primo atlante celeste completo del mondo occidentale (l'Uranometria), introdussero nuove costellazioni; Johannes Hevelius e Nicolas-Louis de Lacaille operarono poi diverse revisioni della rappresentazione del cielo australe. Nel 1925 e nel 1928 l'Unione astronomica internazionale fissò in modo definitivo il numero (88), le denominazioni e i confini delle costellazioni.

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NOMENCLATURA

Seguendo il criterio indicato da Bayer, per designare circa 1300 stelle brillanti si usa la forma genitiva latina del nome della costellazione preceduta da una lettera greca; la famosa stella Algol, nella costellazione di Perseo, ad esempio, è chiamata Beta Persei.

 

OSSERVAZIONE DEL CIELO

 

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INTRODUZIONE

Telescopio Dispositivo che permette di osservare oggetti lontani e di debole luminosità, fornendone un’immagine ingrandita e più luminosa. Costituisce il principale strumento di indagine per la ricerca astronomica.

Il tipo di telescopio più diffuso è quello ottico, nato all’inizio del XVII secolo: mediante un sistema di lenti e specchi, raccoglie la luce visibile emessa dagli astri o riflessa dai pianeti e la fa convergere in un punto detto fuoco, dove è collocata una seconda lente o un altro dispositivo di rivelazione che restituisce l’immagine all’osservatore. Accanto a quello ottico, esistono diversi altri tipi di telescopio, messi a punto a partire dalla seconda metà del Novecento per raccogliere e rivelare tutte le altre radiazioni dello spettro elettromagnetico presenti nel cosmo: onde radio, microonde, raggi infrarossi, ultravioletti, raggi X e raggi gamma. Oggi la ricerca astronomica procede quindi grazie all’uso combinato di telescopi ottici, radiotelescopi, telescopi agli infrarosso, agli ultravioletti, a raggi X e gamma, installati a Terra o messi in orbita al di sopra dell’atmosfera.

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TELESCOPIO OTTICO

Nella sua forma più semplice, un telescopio ottico è costituito da due lenti convesse poste alle estremità di un tubo o di una struttura rigida detta ragno, che le mantiene allineate e a debita distanza. La prima lente – l’obiettivo – produce un'immagine capovolta dell'oggetto osservato, mentre la seconda – l'oculare – ingrandisce l'immagine fornita dall'obiettivo. Questo particolare modello di telescopio prende il nome specifico di cannocchiale, telescopio rifrattore o telescopio diottrico. Nei cosiddetti telescopi riflettori o catottrici, invece, l'obiettivo non è una lente, ma uno specchio. Esiste poi un terzo tipo di telescopio ottico, detto catadiottrico, in cui la focalizzazione dell’immagine viene realizzata con un sistema combinato di lenti e specchi. In genere, i grandi telescopi astronomici sono del tipo riflettore.

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Caratteristiche fondamentali

I principali parametri che permettono di definire il potere di ingrandimento e la sensibilità di un telescopio sono la distanza focale, l’apertura e il rapporto di apertura. Il primo rappresenta la distanza tra uno specchio (o una lente) e il suo fuoco e influisce sul potere di ingrandimento dello strumento. Nel caso di un sistema ottico a due lenti, e quindi del telescopio, il potere di ingrandimento è dato dal rapporto tra le distanze focali delle due lenti.

L’apertura rappresenta sostanzialmente il diametro della lente (o dello specchio) principale, ed è importante per definire la sensibilità dello strumento, vale a dire, la sua capacità di rivelare oggetti di debole luminosità: maggiore è l’apertura, maggiore è la sua capacità di raccogliere luce e di creare quindi immagini luminose e contrastate. In alcuni casi, le caratteristiche di un telescopio si esprimono anche mediante il rapporto di apertura (o apertura relativa), il rapporto tra la distanza focale e l’apertura dello strumento.

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Telescopio rifrattore

In un telescopio a rifrazione, l’obiettivo è costituito da una lente convessa (più spessa al centro e più sottile ai bordi). Questo tipo di lente ha la proprietà di concentrare i raggi luminosi che incidono su di essa in un unico punto, detto fuoco.

Il telescopio a rifrazione non è il più utilizzato per osservazioni astronomiche ad alto livello. Esso pone infatti alcuni problemi non trascurabili. In primo luogo, è sempre affetto da aberrazione cromatica, un difetto di focalizzazione che consiste nella messa a fuoco differenziata di ciascuna delle componenti cromatiche della luce. Questo significa che i colori dello spettro luminoso vengono messi a fuoco non in un unico punto, ma in punti diversi, a causa del diverso indice di rifrazione per ciascuno di essi. L’immagine appare quindi di debole intensità e circondata da un alone colorato. In genere, per ridurre questo effetto, si utilizza come obiettivo non una singola lente, ma un sistema di più lenti combinate.

Un altro limite dei telescopi rifrattori è il loro peso negli strumenti più grandi: per avere prestazioni migliori si tende a realizzare lenti sempre più ampie, e quindi più pesanti (una lente di 100 cm di diametro pesa più di mezza tonnellata). Per poter sostenere l’obiettivo di un telescopio rifrattore, tuttavia, non è possibile montare un sostegno posteriore, perché ostruirebbe il passaggio della luce attraverso la lente; l’unico sistema è un fissaggio ai bordi, che per i telescopi più grandi non è sufficiente. Per tutti questi motivi, i più diffusi telescopi astronomici sono del modello a riflessione.

2.3

 

Telescopio riflettore

Il primo modello di telescopio a riflessione fu ideato da Isaac Newton per risolvere il difetto dell’aberrazione cromatica. Egli sostituì la lente dell’obiettivo con uno specchio concavo che, sfruttando il fenomeno della riflessione anziché della rifrazione, non pone alcun effetto di distorsione cromatica (la riflessione avviene allo stesso modo per tutte le lunghezze d’onda). Lo specchio di un telescopio newtoniano – concavo – svolge così la stessa funzione della lente convessa di un telescopio rifrattore: raccoglie la luce e la fa convergere in un unico punto, detto fuoco.

Il telescopio a riflessione vanta una notevole sensibilità e permette di osservare oggetti anche molto poco luminosi. La sensibilità alla luce aumenta con il quadrato del diametro dello specchio, quindi un raddoppio del diametro produce un aumento quadruplo della sensibilità e una notevole riduzione dei tempi di esposizione. I più grandi telescopi riflettori possono rivelare oggetti che sono milioni, o anche miliardi di volte meno luminosi delle stelle più deboli visibili a occhio nudo.

Lo specchio di un telescopio riflettore è in genere di forma parabolica o iperbolica, due conformazioni che garantiscono la precisione nella messa a fuoco. La realizzazione di questo tipo di specchi è molto delicata perché la curvatura della superficie non è costante. Il materiale con cui vengono realizzati, inoltre, deve avere particolari proprietà di durata e resistenza: un tempo, il tipo di vetro più utilizzato era il pyrex; oggi si impiegano composti vetroceramici, più resistenti alle variazioni di temperatura. La levigatura del pezzo grezzo viene effettuata mediante uno strumento automatizzato, che permette di eliminare le più piccole imperfezioni (fino a una scala di grandezze dell’ordine dello spessore di un capello umano). Al termine, viene depositato sulla faccia posteriore un sottile strato di alluminio.

2.4

 

Modelli di telescopio a riflessione

Esistono essenzialmente tre modelli di telescopi riflettori. Quello originale, newtoniano, è costituito da un tubo chiuso di cui lo specchio principale, di forma parabolica, è collocato sul fondo. La luce entra nel tubo e va a riflettersi sull’obiettivo, che la invia su uno specchio piano posto davanti a esso, inclinato di 45°; questo la devia a sua volta in direzione dell’oculare, che è collocato all’esterno del tubo, in una posizione accessibile all’osservatore. L’impianto newtoniano, con l’oculare in posizione laterale, è adatto a strumenti di piccole dimensioni, ed è quindi molto diffuso tra i telescopi amatoriali.

Nel 1672 l’astronomo francese Cassegrain propose un modello alternativo a quello di Newton, che migliorava l’accessibilità all’oculare. Nel telescopio Cassegrain, la luce incidente si riflette su uno specchio concavo primario e poi su uno specchio convesso secondario, che la rimanda in direzione del primario, al centro del quale è praticato un foro; attraverso questo foro, la luce passa per andare a focalizzarsi in corrispondenza dell’oculare. Sono di tipo Cassegrain molti dei più grandi telescopi oggi esistenti.

Negli anni Trenta, infine, Bernard Schmidt propose un altro modello di telescopio riflettore, particolarmente adatto per le applicazioni fotografiche. In realtà non si tratta di un riflettore puro, ma di un modello che combina lenti e specchi, detto anche catadiottrico. In questo strumento, lo specchio primario è concavo e di forma sferica; la luce in entrata incide su di esso dopo essere passata attraverso una lente correttiva che compensa preventivamente il difetto di aberrazione sferica dello specchio primario. La luce riflessa va quindi a focalizzarsi su una superficie curva, su cui è applicata la pellicola fotografica. Il principale vantaggio di questo modello consiste nel consentire la ripresa di ampie porzioni di cielo: per telescopi di dimensioni medie, circa 40° quadrati.

2.5

 

Fotografia astronomica e registrazione delle immagini

L’immagine che si compone nel fuoco dell’obiettivo di un telescopio ottico può essere raccolta da una semplice lente oculare o da un dispositivo ottico o elettronico che ne permetta la registrazione. In questo secondo caso, il telescopio viene generalmente dotato di un motore che consenta all’osservatore di seguire il movimento apparente della volta celeste. Nel caso di fotografie con lunghe esposizioni, infatti, il moto apparente del cielo dovuto alla rotazione terrestre tende a far sfuggire gli oggetti osservati dall’obiettivo e a produrre sulla pellicola fotografica non dei punti luminosi, ma delle strisce nella direzione del moto.

Fino a qualche tempo fa, il principale strumento utilizzato per la registrazione delle immagini astronomiche era la macchina fotografica; oggi, dopo la messa a punto delle tecnologie a semiconduttori, si preferiscono rivelatori a stato solido: i CCD (charge-coupled device), chip di silicio suddivisi in milioni di elementi (pixel), che convertono la luce in arrivo in carica elettrica rilevabile da un computer; ne risulta un’immagine costituita da un mosaico di punti luminosi e oscuri. Questi dispositivi a stato solido sono molto più sensibili della pellicola fotografica e consentono di avere subito l’immagine codificata in forma digitale, pronta per essere eventualmente sottoposta ad analisi o elaborazione; inoltre, possono raccogliere non solo la luce visibile, ma anche i vicini raggi ultravioletti e infrarossi.

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ALTRI TELESCOPI

A seconda della lunghezza d'onda della radiazione che si vuole raccogliere e analizzare, si utilizzano strumenti specifici. Per le onde radio, che hanno lunghezze molto maggiori di quelle della luce visibile, sono necessari telescopi di notevoli dimensioni. La loro struttura è paragonabile a quella di un grosso telescopio ottico riflettore: un’ampia superficie parabolica raccoglie le onde provenienti dallo spazio e le convoglia nel suo fuoco, dove è collocato il rivelatore. Non è necessario che la superficie riflettente sia levigata quanto quella di un telescopio ottico: le maggiori lunghezze d’onda in gioco consentono la presenza di imperfezioni di dimensioni anche apprezzabili, in quanto pur sempre trascurabili rispetto alle dimensioni dei segnali. Sono necessari invece altri accorgimenti, dovuti alla debole intensità della maggior parte dei segnali radio provenienti da sorgenti astronomiche. Si calcola che l’energia associata a questo tipo di radiazioni, infatti, sia talmente bassa da poter essere paragonata a quella liberata nell’impatto di un fiocco di neve al suolo. Per questo, per rivelare segnali così deboli e distinguerli dalle onde radio artificiali prodotte da stazioni terrestri, è necessario che i radiotelescopi siano posizionati sul fondo di avvallamenti naturali o in zone altrimenti schermate. Inoltre, è necessario che siano dotati di un sistema di amplificazione capace di rafforzare l’intensità del segnale. Numerosi e di varie dimensioni svariate sono i radiotelescopi installati nel mondo; il più grande, attualmemnte, è quello di Arecibo, a Puerto Rico, che vanta un diametro di ben 305 m.

Anche i telescopi a infrarossi e a ultravioletti hanno un impianto analogo a quello dei telescopi ottici riflettori, con opportuni strumenti di rivelazione nei rispettivi fuochi. Nel caso degli infrarossi, sono necessari accorgimenti per evitare interferenze con la radiazione termica proveniente da qualunque corpo posto in vicinanza dello strumento; per gli ultravilletti, la superficie riflettente deve essere rivestita di un apposito materiale che renda più efficiente la riflessione. Parte delle due bande – infrarossa e ultravioletta – non raggiungono la superficie terrestre a causa della schermatura opposta dall’atmosfera; pertanto, i telescopi destinati alla rivelazione di queste specifiche lunghezze d’onda vengono inviati in orbita al di sopra dell’atmosfera (vedi Satellite artificiale).

Alcuni dei telescopi a ultravioletti attualmente in orbita intorno alla Terra sono l’International Ultraviolet Explorer, l’Extreme Ultraviolet Explorer, l’osservatorio dello space shuttle ASTRO e lo stesso Hubble Space Telescope. L’astronomia nell’infrarosso permette di esplorare le regioni oscure della nostra galassia e dello spazio intergalattico, alla ricerca di protostelle e sistemi planetari in formazione, e di analizzare il comportamento delle comete, il nucleo delle galassie e la nascita delle galassie più lontane. I telescopi a ultravioletti, invece, sono adatti all’osservazione di gas interstellari, di stelle giovani e aree gassose di galassie attive.

Per finire, i raggi X e i raggi gamma necessitano di strumenti più specifici, con schermature di piombo o di altro materiale che evitino la dispersione delle radiazioni, altamente ionizzanti. Un telescopio a raggi X è costituito essenzialmente da una superficie riflettente, spesso di forma cilindrica, e da uno specifico rivelatore. I primi telescopi a raggi X nacquero negli anni Sessanta, ed erano semplici rivelatori puntati verso le sorgenti. Oggi ne esitono di assai sofisticati. Tra questi, il Chandra X-Ray Observatory della NASA e l’X-Ray Multimirror Mission dell’ESA, entrambi in orbita intorno alla Terra. Un telescopio a raggi gamma, invece, è costituito da due o più rivelatori gamma disposti in fila; questa disposizione serve a selezionare le radiazioni provenienti da una precisa direzione, e quindi da una specifica sorgente.

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CENNI STORICI

La paternità dell’invenzione del telescopio ottico è controversa. In genere viene attribuita a Galileo Galilei, che costruì un cannocchiale nel 1609 e lo utilizzò per osservare i pianeti del sistema solare, fornendo le prime prove dirette della teoria eliocentrica di Niccolò Copernico. Alcune fonti sostengono tuttavia che il costruttore di lenti olandese Hans Lippershey avesse realizzato un telescopio l’anno precedente, nel 1608.

Nei decenni che seguirono furono ideati diversi modelli di telescopio, sempre del tipo rifrattore; Giovanni Keplero diede il suo contributo progettando un telescopio astronomico a due lenti convesse (anziché con una lente convessa combinata a una concava), successivamente costruito dal gesuita tedesco Christoph Scheiner intorno al 1630.

L'invenzione dell'obiettivo acromatico, nel 1758, da parte dell'ottico britannico John Dollond, e il miglioramento del vetro flint, a partire dal 1754, permisero ben presto la costruzione di più efficienti telescopi rifrattori. Le lenti di Dollond avevano un diametro di soli 8-10 cm, che potevano essere utilizzate su telescopi di dimensioni modeste. I metodi di lavorazione di grandi dischi di vetro flint vennero scoperti alla fine del XVIII secolo da Pierre Louis Guinand, un ottico svizzero che collaborava con il fisico tedesco Joseph von Fraunhofer. La scoperta di Guinand permise la costruzione di telescopi di 25 cm di diametro. Un altro grande costruttore di lenti per telescopi fu l'ottico e astronomo statunitense Alvan Clark il quale, nella seconda metà del XIX secolo, insieme al figlio Alvan Graham Clark, costruì lenti non solo per i maggiori osservatori statunitensi, ma anche per l'osservatorio imperiale russo di Pulkovo e per alcuni istituti europei.

La realizzazione del primo telescopio riflettore si può far risalire agli inizi del XVII secolo, quando il gesuita italiano Niccolò Zucchi utilizzò una lente per osservare l'immagine prodotta da uno specchio concavo, ma fu il matematico scozzese James Gregory che nel 1663 progettò un vero e proprio telescopio a specchio. Il primo telescopio riflettore venne poi costruito nel 1668 da Isaac Newton e, pochi anni dopo, fu pubblicato il modello di Cassegrain.

Nel corso dei secoli successivi furono apportate diverse modifiche, che contribuirono a migliorare le prestazioni dei telescopi ottici. Nel 1931 l'ottico tedesco di origine estone Bernhard Schmidt inventò il telescopio catadiottrico, con un sistema ottico misto a riflessione e rifrazione, particolarmente adatto per la fotografia del cielo a grande campo. Il modello di Schmidt è dotato di una sottile lente a un'estremità e di uno specchio concavo con una lamina di correzione all'altra; il più grande strumento di questo tipo, equipaggiato con una lente di 134 cm e uno specchio di 200 cm, si trova all'osservatorio Karl Schwarzschild di Tautenberg, in Germania.

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I PIÙ GRANDI TELESCOPI DEL MONDO

Attualmente, il più grande riflettore del mondo è il telescopio di Keck, del diametro di 9,82 m, installato presso l'Osservatorio di Mauna Kea, nelle Hawaii (USA). Questo strumento è caratterizzato da un'importante innovazione: la sua superficie riflettente è un mosaico di trentasei tasselli esagonali, ciascuno dei quali è orientabile individualmente mediante un sistema di tre pistoncini. Il sistema equivale a un unico specchio del diametro di 10 m, ma i singoli tasselli, essendo molto più sottili per le dimensioni limitate, sono anche molto più leggeri e dunque non rischiano di deformarsi per il peso; inoltre, la segmentazione non solo riduce la massa dello strumento, ma ne rende più semplice la pulizia. I vari segmenti sono tenuti allineati da un apposito sistema elettronico. A 85 m di distanza da questo imponente strumento ne è installato un altro, il Keck II: le immagini ottenute dai due telescopi possono essere combinate con una tecnica interferometrica già ampiamente utilizzata in radioastronomia, migliorandone ancora di più la qualità.

Altri telescopi fissi che competono con quelli di Keck sono Subaru, anch’esso installato presso l’Osservatorio hawaiano di Mauna Kea e dotato di uno specchio di apertura pari a 8,3 m, e HET (Hobby-Heberly Telescope), installato nel Texas (USA), con uno specchio principale di 9,2 m di diametro.

Il primato del telescopio di Keck è in realtà già superato dal VLT (Very Large Telescope, Telescopio molto grande) costruito dall'ESO (European Southern Observatory, Osservatorio europeo del Sud) e situato sul monte Cerro Paranal, nel Cile settentrionale. Il VLT è costituito da quattro telescopi del diametro di 8,20 m ciascuno, che possono operare singolarmente o in combinazione: in questo secondo assetto lo strumento equivale a un singolo telescopio di 16,40 m di diametro, e diventa quindi il più grande telescopio ottico esistente. Il sistema opera con un'ottica attiva: un analizzatore di immagini controlla permanentemente la qualità delle immagini, utilizzando una stella di riferimento, e calcola istante per istante le aberrazioni ottiche presenti. Un sistema di computer, poi, trasmette le correzioni necessarie per compensare i difetti ai motori degli specchi, che, cambiando curvatura e posizione, mantengono l'alta risoluzione dell'immagine. Le immagini registrate dal VLT si estendono dalle frequenze ultraviolette alle infrarosse. La prima unità del telescopio è entrata in funzione nel maggio 1998, l’ultima nel marzo 2001.

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TELESCOPI SPAZIALI

I telescopi installati a Terra possono rivelare soltanto una parte dello spettro elettromagnetico, vale a dire quella che riesce a penetrare attraverso l’atmosfera: la luce visibile, parte dei raggi ultravioletti, degli infrarossi e delle onde radio. Per rivelare le altre onde dello spettro, è necessario collocare i telescopi al di sopra dell’atmosfera. Soprattutto a partire dalla fine degli anni Ottanta, sono stati quindi realizzati e installati numerosi telescopi spaziali.

Il primo telescopio ottico a essere collocato in orbita intorno alla Terra è stato il telescopio spaziale Hubble (HST), in funzione dal 1990: grazie alla sua posizione esterna all'atmosfera terrestre, può raccogliere immagini precise e dettagliate, che non risentono della distorsione e dei disturbi causati alla radiazione dall'atmosfera stessa.

Oggi, a più di dieci anni dalla messa in orbita del telescopio spaziale Hubble, si parla della sua sostituzione con uno strumento di gran lunga più grande e potente, il Telescopio Spaziale di Nuova Generazione (NGST). Il nuovo telescopio, che secondo il programma dovrebbe essere installato nel 2010 a circa 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, porterà il nome dell’uomo che guidava la NASA ai tempi della conquista della Luna e si chiamerà James Webb Space Telescope. Sarà frutto di una collaborazione della NASA con l’Agenzia Spaziale Canadese (CSA), con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e con alcune grandi compagnie aerospaziali. Il diametro dello specchio principale sarà di 6 m (quello dell’HST è di “soli” 2,4 m), il che garantirà la possibilità di raccogliere radiazioni luminose e infrarosse dalle regioni più remote dell’universo, osservando fenomeni celesti avvenuti meno di un miliardo di anni dopo il Big Bang. Le dimensioni straordinarie dello strumento, tuttavia, porranno dei problemi di trasporto: per poter essere portato in orbita con i veicoli spaziali convenzionali, l’NGSP dovrà viaggiare chiuso come un ombrello, e aprirsi soltanto una volta raggiunta la sua orbita. Campo di applicazione principale del Telescopio Spaziale di Nuova Generazione saranno gli studi cosmologici sull’origine e l’evoluzione dell’universo

 

TELESCOPIO RIFLETTORE

 

TELESCOPIO RIFRATTORE

 

EMISFERO AUSTRALE

 

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