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Il COSMO
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Il Sistema Solare |
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I
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Gli asteroidi
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comete | Meteore
e meteoriti |
Le
stelle |
Nebulose e ammassi stellari
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IL SISTEMA SOLARE |
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Sistema solare Insieme dei corpi celesti
costituito dal Sole e dagli oggetti che orbitano intorno ad esso: nove
pianeti con relativi satelliti, migliaia di asteroidi e un numero
imprecisato di comete. Lo spazio in cui orbitano questi corpi è pervaso da
materia interplanetaria, costituita prevalentemente da polveri finissime e
gas estremamente rarefatti. Fino al 1992, il sistema solare era l'unico
sistema planetario di cui si conoscesse l'esistenza; in quell’anno, poi,
fu individuato il primo pianeta orbitante intorno a una stella diversa dal
Sole, la pulsar PSR 1257 +12, nella costellazione della Vergine. Da
allora, sono stati individuati diversi altri pianeti extrasolari, e un
probabile sistema planetario in via di formazione intorno alla stella
Beta Pictoris.
Il Sole è una stella di dimensioni e luminosità medie. L'energia da esso
irraggiata ha origine nel nucleo centrale, nel quale sussistono condizioni
di temperatura e pressione tali da alimentare reazioni di fusione nucleare
che consistono nella formazione di nuclei di elio a partire da nuclei di
idrogeno. Per quanto questo processo porti alla conversione di ben 600
milioni di tonnellate di idrogeno al secondo, la massa del Sole (2×1027
tonnellate) è tale da garantire che l’astro continui a splendere per altri
cinque miliardi di anni circa.
Il Sole è una stella molto attiva. Sulla sua superficie si formano, con un
ciclo della periodicità di 11 anni, regioni relativamente scure denominate
macchie solari, a cui sono associati intensi campi magnetici. Queste
strutture non interessano tutta la superficie solare, ma compaiono solo a
latitudini comprese tra 40° N e i 40° S. Correlate alle macchie solari
sono improvvise emissioni di energia e di particelle elettricamente
cariche (brillamenti). Il Sole emette inoltre un flusso continuo di
particelle cariche, che si propaga in tutto il sistema planetario. Tale
flusso, il vento solare, è molto intenso e condiziona la forma e
l’orientazione delle code ionizzate delle comete.
I nove pianeti del sistema solare, in orbita ellittica intorno al Sole,
vengono divisi in due gruppi: quello dei pianeti interni (Mercurio,
Venere, Terra e Marte) e quello dei pianeti esterni (Giove, Saturno,
Urano, Nettuno e Plutone). I primi sono piccoli e composti essenzialmente
di rocce e metalli, i secondi hanno dimensioni assai maggiori e sono
composti principalmente da gas.
La superficie di Mercurio presenta numerosi crateri generati dall’impatto
di meteoriti. Il pianeta, circondato da un'atmosfera molto sottile, ha
un'alta densità dovuta probabilmente alla grande massa ferrosa che ne
costituisce il nucleo.
Venere è avvolto da un'atmosfera di anidride carbonica 90 volte più densa
di quella terrestre; ciò provoca un intenso effetto serra e un conseguente
surriscaldamento della superficie, che supera i 450 °C di temperatura.
La Terra è l'unico pianeta su cui, a quanto si sa, siano presenti acqua
allo stato liquido e forme di vita. Esistono indizi della presenza di
acqua in epoche passate anche su Marte; questo pianeta è oggi circondato
da un'atmosfera molto tenue, che rende la superficie arida e fredda, con
grandi calotte polari di ghiaccio secco (anidride carbonica allo stato
solido).
Giove è il pianeta più grande del sistema solare; è avvolto da
caratteristiche nubi dai colori pastello e da un'atmosfera di idrogeno ed
elio; l'immensa magnetosfera, gli anelli e i satelliti ne fanno una sorta
di sistema planetario a sé stante.
L'altro grande pianeta del sistema, Saturno, è circondato, come Giove, da
un sistema di anelli e satelliti. Urano e Nettuno contengono minori
quantità di idrogeno rispetto ai due pianeti giganti; Urano, in
particolare, ruota intorno a un asse che giace quasi sul piano
dell'orbita. Plutone è l'ultimo dei pianeti scoperti sino a oggi; ha un
diametro relativamente piccolo (2280 km circa), un'orbita ellittica molto
eccentrica, e la sua distanza dal Sole è tale (circa 6 miliardi di km) da
farne il pianeta più freddo del sistema solare.
Esistono inoltre alcuni corpi della fascia di Edgeworth-Kuiper, scoperti
tra il 2002 e il 2003, che per dimensioni e caratteristiche orbitali fanno
pensare a piccoli pianeti; in particolare Sedna, il più grande, che ha un
diametro di circa 1750 km. La comunità scientifica, al momento, non ha
elementi sufficienti per poter definire Sedna un vero e proprio pianeta e,
anzi, si trova di fronte alla necessità di riesaminare la definizione
stessa di pianeta, per procedere a una corretta classificazione.
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ALTRI CORPI DEL
SISTEMA SOLARE |
Oltre ai pianeti, fanno parte del sistema solare anche gli asteroidi (o
pianetini), i meteoriti e le comete. Gli asteroidi sono corpi rocciosi che
si trovano per la maggior parte in un'ampia fascia compresa tra le orbite
di Marte e Giove. Sono migliaia e le loro dimensioni variano dai 1000 km
del diametro di Cerere, a quelle di microscopici grani di polvere. I
meteoriti sono frammenti rocciosi che si separano dagli asteroidi e vanno
a ricadere su corpi più grandi: pianeti, satelliti e il Sole stesso.
Alcuni di essi, con l'ingresso nell'atmosfera terrestre, si disintegrano
per effetto dell'attrito, lasciando una scia luminosa e dando origine al
fenomeno delle meteore. Studi di laboratorio sui meteoriti hanno permesso
di ricavare molte informazioni sullo stato primordiale del sistema solare.
Le superfici di Mercurio, di Marte e di molti satelliti (tra cui la Luna)
mostrano gli effetti di un intenso bombardamento di meteoriti avvenuto
agli inizi dell'evoluzione del sistema solare. Sulla Terra i segni
dell'impatto di meteoriti sono stati in gran parte cancellati
dall'erosione.
Le comete sono aggregati di polveri rocciose, ammoniaca, monossido di
carbonio e anidride carbonica, di diametro compreso tra i 5 e 10 km.
Descrivono orbite ellittiche molto eccentriche intorno al Sole; quando vi
si avvicinano, per effetto della radiazione emessa dalla stella, i gas
evaporano e formano intorno al nucleo cometario spettacolari chiome e
code. La cometa più famosa è quella di Halley, che transita periodicamente
nel sistema solare interno a intervalli di 76 anni circa; il suo passaggio
più recente risale al 1986. Nel luglio del 1994 frammenti della cometa
Shoemaker-Levy 9 hanno attraversato l'atmosfera di Giove a una velocità di
circa 210.000 km/h; nel transito, l'enorme energia cinetica dei frammenti
si è convertita in calore, lasciando segni visibili nelle nubi del
pianeta. Anche le superfici dei satelliti ghiacciati dei pianeti esterni
sono segnate dall'impatto con nuclei di comete. Chirone, un oggetto che
orbita tra Saturno e Urano e che si riteneva un asteroide, sembra in
realtà essere un grande nucleo cometario non più attivo. Parimenti, alcuni
asteroidi che attraversano l'orbita della Terra potrebbero essere il
residuo roccioso di comete estinte.
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MOVIMENTO DEI PIANETI
E DEI SATELLITI |
Tranne Venere e Urano, che ruotano in senso orario, tutti i pianeti
ruotano intorno al proprio asse e orbitano attorno al Sole in senso
antiorario. L'intero sistema è situato approssimativamente su un unico
piano; solo Mercurio e Plutone hanno orbite molto inclinate rispetto a
questo piano.
I sistemi di satelliti hanno un comportamento che rispecchia quello dei
pianeti di appartenenza. Alcuni satelliti di Giove, Saturno e Nettuno
descrivono orbite retrograde; altri satelliti hanno orbite fortemente
ellittiche. Nell'orbita di Giove, inoltre, due gruppi di asteroidi, detti
Troiani, precedono e seguono il pianeta di circa 60°; lo stesso fenomeno
si verifica per alcuni piccoli corpi in orbita intorno a Saturno.
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ORIGINE DEL SISTEMA
SOLARE |
Le prime teorie cosmologiche sull’origine del sistema solare risalgono a
tempi antichissimi. In epoca moderna, il filosofo Immanuel Kant (Storia
universale della natura e teoria del cielo, 1755) e il fisico e
matematico francese Pierre-Simon de Laplace (Esposizione del sistema
del mondo, 1796) formularono un'ipotesi secondo la quale il sistema
solare si sarebbe formato da una nube di gas, dalla quale si sarebbero
originati una serie di anelli e, successivamente, i pianeti. Dubbi circa
la stabilità degli anelli condussero gli scienziati a considerare altre
ipotesi, come quella dell'impatto del Sole con un'altra stella. Ma anche
quest'idea fu abbandonata quando si provò che tali incontri sono
estremamente rari e, soprattutto, che i gas caldi tendono a dissiparsi,
piuttosto che a condensare, rendendo impossibile la formazione dei
pianeti.
Le teorie attualmente più accreditate fanno coincidere cronologicamente la
formazione del sistema solare con quella del Sole, avvenuta circa 4,7
miliardi di anni fa. La frammentazione e il collasso gravitazionale di una
nube di gas e polveri, innescati forse dall'esplosione di una supernova
vicina, potrebbero aver portato alla formazione di una nebulosa solare
primordiale (tracce di isotopi anomali, che rivelerebbero l'esplosione di
una supernova prima della formazione del Sole, sono state rinvenute in
alcuni meteoriti). Il Sole si sarebbe poi formato nella regione centrale,
più densa, della nube. Quindi sarebbero venuti i pianeti interni e,
successivamente – a maggiori distanze dal centro della nebulosa – i gas,
condensando, avrebbero raggiunto lo stato nel quale oggi si trovano su
Giove e nelle regioni più esterne del sistema solare. L'ipotesi che
considera la formazione di stelle e pianeti come contemporanea, già molto
affascinante in sé, confermerebbe inoltre l'esistenza di sistemi di corpi
celesti analoghi al nostro sistema solare.
Attualmente si conoscono nella nostra galassia circa 1200 stelle, che per
dimensioni ed età possono essere considerate simili al nostro Sole, e 102
pianeti orbitanti intorno a queste. L’ultimo sistema planetario scoperto
in ordine di tempo è stato individuato dai ricercatori dell’Istituto
nazionale di fisica di Padova, nella porzione di cielo compresa tra la
costellazione dell’Acquario e quella dei Pesci. Si tratta di un sistema di
due stelle binarie poste alla reciproca distanza di circa cinque volte il
diametro del nostro sistema solare. La porzione di galassia esplorata fino
ad oggi è solo un decimillesimo del totale: questo fa pensare che siano
innumerevoli i sistemi planetari esistenti e altrettanto numerosi i
pianeti in cui si potrebbero trovare condizioni ambientali analoghe al
nostro sistema solare.
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LA TERRA |
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Terra Terzo pianeta del sistema solare in
ordine di distanza dal Sole; unico pianeta, allo stato attuale delle
conoscenze, che ospiti la vita. Ha una composizione prevalentemente
rocciosa e una forma irregolare, riconducibile in prima approssimazione a
un ellissoide. Presenta una struttura a strati, con un nucleo pesante, un
mantello intermedio e una crosta più leggera, ed è all’origine di una
magnetosfera. Oltre che dal Sole, attinge energia per le sue complesse
dinamiche da una riserva di calore immagazzinata al suo interno. Compie un
complicato sistema di moti periodici nello spazio, i più importanti dei
quali sono la rotazione intorno al proprio asse e la rivoluzione intorno
al Sole.
Calcoli recenti basati sullo studio delle irregolarità orbitali di
satelliti artificiali hanno permesso di appurare che la Terra presenta
effettivamente una forma di ellissoide, ma lievemente deformata “a pera”:
la differenza tra il raggio minimo equatoriale e il raggio polare
(distanza tra il centro della Terra e il Polo Nord) è di circa 21 km,
inoltre il Polo Nord “sporge” rispetto all’ellissoide regolare di circa 10
m, mentre il Polo Sud è “schiacciato” di 31 m. Lo studio della forma della
Terra è oggetto di una disciplina che prende il nome di geodesia.
La posizione della Terra nello spazio non è stazionaria ma è il risultato
di una complessa composizione di moti con caratteristiche e periodicità
differenti. Insieme al suo satellite naturale, la Luna, il pianeta Terra
orbita intorno al Sole, a una distanza media di 149.503.000 km e con una
velocità media di 29,8 km/s, compiendo una rivoluzione completa in 365
giorni, 6 ore 9 minuti e 10 secondi (il periodo di rivoluzione è detto
anno sidereo). La traiettoria di quest’orbita è un'ellisse lievemente
eccentrica, ovvero pressoché circolare, con una lunghezza pari a circa
938.900.000 km. La Terra è inoltre in rotazione intorno al proprio asse;
tale rotazione avviene in senso inverso rispetto all'apparente moto del
Sole e della sfera celeste, vale a dire da occidente a oriente, e ha un
periodo di 23 ore, 56 minuti e 4,1 secondi (giorno sidereo).
La Terra segue il moto dell'intero sistema solare e si muove nello spazio
a una velocità di circa 20,1 km/s nella direzione della costellazione di
Ercole; inoltre partecipa al moto di recessione della galassia, e insieme
alla Via Lattea si sposta verso la costellazione del Leone.
Oltre che dai moti principali, la Terra è interessata dal moto di
precessione degli equinozi e dalle nutazioni. Queste ultime sono
variazioni periodiche dell'inclinazione dell'asse terrestre, dovute alla
combinazione delle due forze di attrazione gravitazionale esercitate su di
essa dal Sole e dalla Luna.
La Terra può essere schematicamente suddivisa, procedendo dall’esterno
verso l’interno, in cinque porzioni: l'atmosfera (gassosa), l'idrosfera
(liquida), la litosfera (solida), il mantello e il nucleo, in parte
solidi. L'atmosfera, costituita prevalentemente da azoto (N2) e
ossigeno (O2), è l’involucro gassoso che circonda il corpo del
pianeta: ha uno spessore di oltre 1100 km, ma data la rarefazione
progressiva all’aumentare della quota, circa la metà della sua massa è
concentrata nei primi 5600 metri.
Con il termine idrosfera si intende l’insieme delle acque che, raccolte
per la massima parte negli oceani, coprono approssimativamente il 70,8%
della superficie del globo. L'idrosfera comprende, oltre agli oceani,
anche i mari interni, i laghi, i fiumi e le acque sotterranee. Gli oceani
hanno una profondità media pari a 3794 m, circa cinque volte l'altezza
media dei continenti, e una massa complessiva uguale a circa
1.350.000.000.000.000.000 (1,35 × 1018) tonnellate, cioè circa
1/4400 della massa totale della Terra.
La litosfera è lo strato del pianeta profondo fino a 100 km, che comprende
la crosta – rocciosa – e la parte del mantello caratterizzata da un
comportamento rigido. Il mantello a comportamento plastico e il nucleo
costituiscono invece la parte interna del pianeta e rappresentano la
maggior parte della sua massa. Le rocce della crosta terrestre hanno una
densità media di 2,7 g/cm³ e sono perlopiù costituite da undici elementi,
che complessivamente rappresentano circa il 99,5% della massa crostale. Il
più abbondante di essi è l'ossigeno (circa il 46,60% della massa totale),
seguito da silicio (circa il 27,72%), alluminio (8,13%), ferro (5,0%),
calcio (3,63%), sodio (2,83%), potassio (2,59%), magnesio (2,09%),
titanio, idrogeno e fosforo (complessivamente in quantità minori dell'1%).
Inoltre sono presenti tracce di altri elementi quali carbonio, manganese,
zolfo, bario, cloro, cromo, fluoro, zirconio, nichel, stronzio e vanadio.
Questi elementi si trovano nella litosfera generalmente in forma di
composti e solo raramente allo stato puro.
La litosfera non ricopre uniformemente il globo, ma è frammentata in una
molteplicità di placche rigide in movimento relativo convergente o
divergente le une rispetto alle altre. Le interazioni tra le zolle
litosferiche sono all’origine di tutta la dinamica della crosta terrestre,
vale a dire del sollevamento delle catene montuose, dell’espansione dei
fondi oceanici, dei fenomeni sismici e vulcanici. Il complesso di questi
fenomeni è spiegato da una teoria sviluppata nel corso del XX secolo e
nota come tettonica a zolle.
Esistono due tipi di crosta, che differiscono sia per la natura e la
struttura delle rocce costituenti, sia per l'età, sia per il livello medio
della superficie. La crosta di tipo continentale costituisce i continenti,
la piattaforma continentale e parte dell'adiacente scarpata continentale.
È costituita da rocce magmatiche, metamorfiche e sedimentarie, che hanno
una composizione chimica media prossima a quella del granito e un’età
estremamente variabile: le più antiche possono risalire addirittura a 4
miliardi di anni fa. La crosta di tipo oceanico costituisce invece il
pavimento dei bacini oceanici ed è costituita prevalentemente da rocce di
composizione basaltica. L'età di queste rocce non è maggiore di 190
milioni di anni.
Il livello medio della superficie della crosta continentale supera di
oltre 4000 metri quello della crosta oceanica, benché i rilievi e le
depressioni oceaniche costituiscano solo una piccola percentuale delle
terre emerse e dei fondi oceanici.
Il mantello superiore, rigido, è separato dalla crosta da una
discontinuità sismica, detta Moho, e dal mantello inferiore da uno strato
a comportamento più plastico, l’astenosfera. Il mantello superiore,
scorrendo lateralmente sulle rocce parzialmente fuse che costituiscono l’astenosfera,
spessa un centinaio di chilometri, permette la deriva dei continenti e
l'espansione dei fondi oceanici.
Il mantello si estende dalla base della crosta fino a una profondità di
circa 2900 km. Il suo strato più esterno – l’astenosfera – si trova allo
stato fluido, mentre la parte rimanente è solida, con una densità che
cresce all’aumentare della profondità, variando tra 3,3 e 6. Il mantello
superiore è composto da silicati di ferro e magnesio e in percentuale
significativa dal minerale olivina; la parte inferiore consiste
probabilmente di una miscela di ossidi di magnesio, silicio e ferro
organizzati in strutture cristalline tipiche di condizioni di temperatura
e pressione elevate.
La transizione tra il mantello e il nucleo è rivelata da una superficie di
discontinuità sismica detta discontinuità di Gutenberg. Gli studi
sismologici mostrano che il nucleo ha un guscio esterno costituito da
materiale fluido, spesso circa 2225 km, con densità media pari a 10. La
sua superficie esterna presenta depressioni e picchi; questi ultimi si
formano probabilmente dove il materiale caldo sale verso l'alto. Al
contrario, il nucleo interno, che ha un raggio di circa 1275 km, è solido.
Si pensa che entrambi gli strati del nucleo siano composti di ferro, con
una piccola percentuale di nichel e di altri elementi. La temperatura nel
nucleo interno è valutata in circa 6650 °C e la densità media è stimata
intorno a 13.
L'enorme quantità di calore presente nel nucleo terrestre tende a
propagarsi verso l'esterno, attraverso i gusci concentrici che
costituiscono il corpo del pianeta. L’energia termica del nucleo alimenta
le correnti convettive del mantello, le quali fungono da nastro
trasportatore delle zolle litosferiche e alimentano di magmi sia il
sistema delle dorsali oceaniche, sia i vulcani sulla terraferma. Parte del
calore terrestre, inoltre, viene prodotto nella crosta dal decadimento
delle specie radioattive presenti (ad esempio l'uranio).
I metodi di datazione basati sullo studio dei radioisotopi hanno
consentito agli scienziati di stimare l'età della Terra in 4,65 miliardi
di anni. Benché le più vecchie rocce terrestri datate in questo modo non
raggiungano i 4 miliardi di anni, alcune meteoriti, che sono simili
geologicamente al nucleo del nostro pianeta, risalgono a circa 4,5
miliardi di anni fa e si ritiene che la loro cristallizzazione sia
avvenuta approssimativamente 150 milioni di anni dopo la formazione della
Terra e del sistema solare.
Il nostro pianeta, subito dopo la sua formazione (avvenuta probabilmente
per aggregazione gravitativa di materia libera nello spazio), doveva
essere un corpo quasi omogeneo e relativamente freddo. La contrazione
gravitazionale provocata dal progressivo accrescimento della sua massa
produsse un aumento di temperatura, al quale contribuì senza dubbio il
decadimento radioattivo di alcuni isotopi. L’aumento di temperatura giunse
a un livello tale da innescare un processo di parziale fusione del pianeta
e la conseguente riorganizzazione dei suoi componenti in strati
concentrici – crosta, mantello e nucleo: i silicati, più leggeri,
risalirono verso la superficie della massa fluida, formando il mantello e
la crosta, mentre gli elementi pesanti, soprattutto ferro e nichel,
affondarono perlopiù verso il centro. Al tempo stesso, tramite le eruzioni
vulcaniche, gran parte dei gas leggeri vennero espulsi dal mantello e
dalla crosta. Alcuni di questi gas, in particolar modo l’anidride
carbonica e l’azoto, andarono a costituire l'atmosfera primordiale, mentre
il vapore acqueo condensava, dando origine ai primi oceani.
La Terra nel suo insieme si comporta come un enorme magnete. Il campo
magnetico terrestre, infatti, è molto simile a quello che si osserverebbe
collocando al centro del pianeta una barra magnetica con l’asse inclinato
di circa 11° rispetto all'asse di rotazione terrestre. Benché gli effetti
del geomagnetismo siano noti e sfruttati da molte centinaia di anni (ad
esempio con la bussola), i primi studi scientifici su questa proprietà del
nostro pianeta vennero compiuti intorno al 1600 dal fisico e filosofo
britannico William Gilbert.
Il fatto che l’asse del campo magnetico terrestre non coincida con l’asse
di rotazione fa sì che anche i poli magnetici siano distinti da quelli
geografici. Il polo nord magnetico attualmente si trova al largo delle
coste occidentali delle isole Bathurst, nei Territori del Nord-Ovest
canadesi, quasi 1290 km a nord-ovest della baia di Hudson. Il polo sud
magnetico si trova invece sul bordo del continente antartico, nella zona
di Terra Adelia, circa 1930 km a nord-est di Little America.
La posizione dei poli magnetici non è fissa, ma muta in modo sensibile da
un anno all’altro. Il campo magnetico terrestre, infatti, varia in
direzione con una perdiodicità di circa 960 anni, e inoltre compie piccole
variazioni su scala giornaliera. Recenti studi effettuati sulla
magnetizzazione fossile dei sedimenti marini hanno rilevato un’ulteriore
periodicità nelle variazioni del campo geomagnetico, di 100.000 anni.
Essa, secondo gli scienziati, potrebbe essere legata alla variazione di
eccentricità dell’orbita terrestre, che avviene appunto secondo un ciclo
di 100.000 anni.
I dati raccolti dai satelliti rivelano che per il campo magnetico
terrestre è in corso da circa 150 anni un lento processo di indebolimento
destinato a risolversi con un’inversione di polarità. In sostanza, al
termine di tale processo, che dovrebbe durare circa due millenni, il Nord
magnetico non coinciderà più con il Nord geografico, ma con il Sud. Un
campo magnetico meno intenso, nel frattempo, potrebbe significare una
maggiore esposizione alle tempeste magnetiche provenienti dal Sole,
difficoltà nella navigazione dei satelliti e, in campo biologico,
difficoltà di orientamento per tutti gli animali che nelle migrazioni si
affidano al magnetismo – uccelli, farfalle, balene e molti altri.
Studi recenti del magnetismo residuo nelle rocce e delle anomalie
magnetiche dei fondi oceanici dimostrano inoltre come, negli ultimi 100
milioni di anni, si siano verificate almeno 170 inversioni di polarità del
campo magnetico terrestre. La conoscenza di queste inversioni, che possono
essere datate per mezzo degli isotopi radioattivi contenuti nelle rocce,
ha una grossa influenza sulle teorie della tettonica globale.
Le misure della variazione secolare mostrano che il campo magnetico
terrestre tende a spostarsi verso occidente a una velocità compresa tra i
19 e i 24 km all'anno. Con ogni evidenza, il magnetismo della Terra è il
prodotto di un processo dinamico che può essere spiegato tenendo presente
che il nucleo esterno, ferroso, sia liquido (al centro della Terra,
invece, la pressione sarebbe tale da consentire solo lo stato solido) e
che le correnti convettive al suo interno abbiano un effetto paragonabile
a quello delle spire di una dinamo (siano in grado cioè di generare un
intenso campo magnetico). La parte interna del nucleo ruoterebbe più
lentamente della parte esterna, e ciò spiegherebbe la deriva secolare
verso ovest del campo magnetico. La superficie irregolare del nucleo
esterno spiegherebbe poi alcune delle altre variazioni minori del campo
magnetico.
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INTENSITÀ DEL CAMPO
MAGNETICO |
Le misurazioni di intensità del campo vengono effettuate con strumenti
detti magnetometri, che possono determinare l'intensità totale del campo e
anche quella delle sue componenti orizzontale e verticale. Studiando le
anomalie locali di intensità del campo magnetico terrestre si possono
ottenere informazioni per individuare alcuni tipi di giacimenti minerari.
Analizzando le antiche rocce vulcaniche è possibile risalire alle
condizioni del campo magnetico terrestre di epoche passate. I minerali
ferromagnetici contenuti in tali rocce, infatti, rimangono bloccati nel
corso del processo di raffreddamento (e quindi di cristallizzazione)
nell’orientamento che avevano assunto per allinearsi al campo magnetico
locale. Le misurazioni effettuate in diverse regioni del globo evidenziano
come l'orientamento del campo magnetico attraverso le ere geologiche sia
mutato enormemente rispetto alla posizione delle masse continentali,
mentre l'inclinazione dell'asse di rotazione terrestre rimaneva invariata.
Il polo nord magnetico, ad esempio, 500 milioni di anni fa era situato a
sud delle isole Hawaii, e per i successivi 300 milioni di anni l'equatore
magnetico si trovò a passare per gli Stati Uniti.
Sulla Terra e nell'atmosfera si manifestano fenomeni elettrici prodotti da
processi naturali. L'elettricità atmosferica, eccetto quella associata
alle cariche nelle nubi che genera i fulmini, deriva dalla ionizzazione
prodotta dalla radiazione solare e dal movimento di nubi di ioni
trasportate dalle maree atmosferiche; queste ultime sono prodotte, come le
maree marine, dall'attrazione gravitazionale del Sole e della Luna
sull'atmosfera della Terra. La ionizzazione (e quindi la conduttività
elettrica) dell'atmosfera in prossimità della superficie terrestre è
bassa, ma aumenta rapidamente con l'altitudine: tra i 40 e i 400 km la
ionosfera forma un involucro sferico quasi perfettamente conduttore che
riflette le onde radio permettendone la trasmissione a lunga distanza. La
ionizzazione dell'atmosfera varia molto anche a seconda dell'ora e della
latitudine.
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IL SOLE |
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Sole Stella che domina il sistema
planetario al quale appartiene la Terra. Il Sole emette radiazione
elettromagnetica e in questo modo fornisce energia, direttamente o
indirettamente, a ogni forma di vita sulla Terra: tutto il cibo e i
combustibili derivano, in ultima analisi, dalle piante che sfruttano la
sua luce. Vedi Fotosintesi; Energia solare.
Il Sole è una stella tipica. Essendo relativamente vicino alla Terra,
rappresenta un soggetto unico per lo studio dei fenomeni stellari: nessun'altra
stella può infatti essere studiata con uguale dettaglio.
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STORIA DELLE
OSSERVAZIONI |
Fin dall'antichità il Sole è stato considerato dall'uomo come un'entità
dal significato speciale. Molte culture antiche lo adoravano e ne
riconoscevano l'importanza nel ciclo della vita. Sebbene abbia sempre
ricoperto un ruolo centrale nei calendari, in cui erano riportati i
solstizi, gli equinozi e le eclissi (vedi Archeoastronomia), il
Sole venne studiato con rigore soltanto dopo la scoperta delle macchie
solari. Gli astronomi cinesi avevano osservato le macchie a occhio nudo
fin dal 200 a.C., ma lo studio sistematico di questi fenomeni iniziò solo
nel 1611 con l'opera di Galileo. Grazie anche all'invenzione del
telescopio, si delineò in quegli anni un nuovo approccio allo studio del
Sole, che da allora venne considerato un corpo in evoluzione, del quale si
potevano comprendere scientificamente sia le proprietà sia le
modificazioni.
Il passo successivo risale al 1814, con l'utilizzo dello spettroscopio da
parte del fisico tedesco Joseph von Fraunhofer (vedi
Spettroscopia). Benché lo spettro del Sole fosse già stato osservato nel
1666 da Isaac Newton, l'accuratezza del lavoro di Fraunhofer gettò le basi
per i primi studi teorici dell'atmosfera solare.
Una parte della radiazione prodotta sulla superficie visibile del Sole
(detta fotosfera) viene assorbita dai gas leggermente più freddi
soprastanti. Sono assorbite però solo alcune particolari lunghezze d'onda,
a seconda delle specie atomiche presenti nell'atmosfera solare. Nel 1859
il fisico tedesco Gustav Kirchhoff realizzò che l'assenza di radiazione di
una certa lunghezza d'onda nelle righe di Fraunhofer era dovuta
all'assorbimento da parte di atomi di alcuni elementi chimici presenti
anche sulla Terra. Questo non solo indicava che il Sole è composto di
materia ordinaria, ma dimostrava anche la possibilità di ricavare
dettagliate informazioni sugli oggetti celesti studiando la radiazione
elettromagnetica che essi emettono. Era l'inizio dell'astrofisica.
I progressi nello studio del Sole furono conseguiti grazie alle
sistematiche osservazioni di numerosi scienziati e allo sviluppo di nuovi
e più accurati strumenti, quali lo spettroeliografo, che permette lo
studio del Sole a una sola lunghezza d'onda dello spettro di emissione; il
coronografo, che consente lo studio della corona solare anche in assenza
di eclissi; e il magnetografo, inventato nel 1948 dall'astronomo
statunitense Horace Babcock, che misura l'intensità del campo magnetico
sulla superficie solare. In seguito, lo sviluppo dei razzi e dei satelliti
consentì agli scienziati di osservare anche le radiazioni che vengono
assorbite dall'atmosfera terrestre. Coronografi, telescopi e spettrografi
sensibili alla radiazione ultravioletta e ai raggi X si rivelarono di
fondamentale importanza per l'esplorazione dello spazio.
3 |
|
COMPOSIZIONE E
STRUTTURA |
L'energia emessa dal Sole viene irradiata in modo approssimativamente
costante in ogni direzione dello spazio; la fonte di questa energia è
nell'interno del Sole, che, come la maggior parte delle stelle, è composto
prevalentemente da idrogeno (il 71%) ed elio (27%) allo stato di plasma,
con tracce di elementi più pesanti. All'interno del Sole si è individuato
un nucleo centrale, con un raggio di circa 150.000 km, in cui la
temperatura raggiunge i 16.000.000 K e la densità è 150 volte quella
dell'acqua. In queste condizioni, le collisioni tra i nuclei degli atomi
di idrogeno innescano violente reazioni di fusione nucleare. Il risultato
di questo processo è che quattro nuclei di idrogeno si combinano per
formare un nucleo di elio (catena protone-protone), mentre viene liberata
energia sotto forma di raggi gamma. Ogni secondo avvengono moltissime
reazioni, che generano un'energia equivalente a quella rilasciata
nell'esplosione di una bomba atomica di 100 miliardi di megaton.
Entro una zona che ha spessore di circa 500.000 km, l'energia prodotta
all'interno del Sole si trasmette verso l'esterno per irraggiamento. Nei
pressi della fotosfera, tuttavia, si trova una zona convettiva che occupa
circa l'ultimo terzo del raggio solare, dove l'energia si trasmette per
mezzo di moti turbolenti del gas. La fotosfera è la superficie superiore
della zona convettiva.
Le celle convettive danno alla fotosfera un aspetto irregolare a macchie,
noto come granulazione solare. Ciascun granulo ha un diametro di circa
2000 km e una vita media di soli 10 minuti circa. Vi è anche una
granulazione provocata dalla turbolenza che si estende in profondità nella
zona convettiva. Questa supergranulazione ha celle che sopravvivono per
circa un giorno e hanno dimensioni di circa 30.000 km.
La superficie della fotosfera appare costellata di aree scure variabili
per forma e per numero, nelle quali si distingue una zona centrale
(ombra), circondata da una regione di bordo leggermente più luminosa
(penombra). Queste strutture prendono il nome di macchie solari e
rappresentano dei "punti freddi" della fotosfera.
Nel 1908 l'astronomo George Ellery Hale scoprì che le macchie solari sono
sede di intensi campi magnetici. Una macchia tipica ha un campo magnetico
di intensità pari a 0,25 Tesla, circa 10.000 volte più intenso di quello
terrestre. Le macchie solari compaiono generalmente a coppie, con campi
magnetici di polarità opposta. Dapprima aumentano di numero, per poi
diminuire, con un ciclo regolare che dura circa 11 anni, già noto almeno
dall'inizio del XVIII secolo. I complessi campi magnetici associati al
ciclo solare, tuttavia, vennero notati solo dopo la scoperta del campo
magnetico della stella.
In una coppia di macchie che si forma nell'emisfero settentrionale del
Sole, la macchia che precede (nella direzione della rotazione) ha polarità
opposta rispetto a quella che si forma nell'emisfero meridionale. Quando
inizia un nuovo ciclo, la direzione del campo magnetico delle macchie di
ciascun emisfero si inverte. Così un ciclo solare completo, che includa
anche l'inversione di polarità del campo magnetico, dura circa 22 anni.
Inoltre le macchie tendono a formarsi sempre simmetricamente nei due
emisferi alla stessa latitudine, partendo da 45° fino a circa 5° nel corso
del ciclo.
Poiché ogni macchia esiste al massimo per qualche mese, il ciclo di 22
anni riflette processi solari profondi e di lunga durata e non solo
proprietà delle singole macchie. Benché non sia del tutto compreso, esso
sembra il risultato delle interazioni del campo magnetico del Sole con la
zona convettiva. Queste interazioni, tuttavia, sono influenzate dalla
rotazione del Sole, che non è uguale a tutte le latitudini: il Sole ruota
una volta ogni 27 giorni all'equatore e ogni 31 giorni vicino ai poli.
Gran parte del campo magnetico solare è localizzato intorno alle macchie.
La sua intensità influenza fortemente gli strati più esterni del Sole. Ad
esempio, la turbolenza su larga scala della zona convettiva spinge il
campo magnetico sulla fotosfera e appena sopra di essa fino ai bordi delle
celle di supergranulazione. La radiazione che proviene dallo strato appena
sopra la fotosfera, detto cromosfera, mostra varie figure caratteristiche.
Entro i confini dei supergranuli si innalzano getti di materia (spicole)
verso la cromosfera fino a un'altitudine di 4000 km in soli 10 minuti. Le
cosiddette spicole sono causate dall'interazione tra la turbolenza e il
campo magnetico ai bordi delle celle dei supergranuli.
Vicino alle macchie, tuttavia, la radiazione cromosferica è più uniforme.
Queste zone sono dette regioni attive, mentre le aree circostanti, che
hanno un'emissione cromosferica meno intensa, sono dette plages
(dal francese, "spiagge"). Le regioni attive sono i luoghi nei quali
avvengono le protuberanze solari, esplosioni causate da aumenti molto
rapidi dell'energia immagazzinata nel campo magnetico. Tra i fenomeni che
accompagnano le protuberanze vi sono riaggiustamenti del campo magnetico,
intense emissioni di raggi X e onde radio, ed emissione di particelle
molto energetiche che a volte raggiungono la Terra, disturbando le
comunicazioni radio e provocando le aurore polari.
L'atmosfera esterna del Sole, che si estende per molti raggi solari a
partire dal disco, è detta corona. Tutte le caratteristiche morfologiche
della corona sono dovute alla presenza del campo magnetico solare. La
maggior parte della corona consiste di grandi archi di gas caldo, che sono
più piccoli all'interno delle regioni attive e più grandi tra una regione
attiva e l'altra. Le forme ad arco e a cerchio sono causate dal campo
magnetico.
Negli anni Quaranta si scoprì che la corona è molto più calda della
fotosfera. Quest'ultima, che è la superficie visibile del Sole, ha una
temperatura di circa 6000 K; la cromosfera, che si estende per molte
decine di migliaia di chilometri sopra la fotosfera, ha una temperatura
prossima ai 30.000 K. Infine la corona, che si trova al di sopra della
cromosfera fino al confine con lo spazio interplanetario, ha temperatura
di oltre 1.000.000 K. Perché si mantengano queste condizioni termiche, ci
deve essere un flusso diretto di energia verso di essa. Attualmente uno
dei problemi maggiori dell'astrofisica solare è spiegare il meccanismo per
mezzo del quale tale calore raggiunge la corona.
A una distanza dalla superficie del Sole pari a uno o due raggi solari, il
campo magnetico è abbastanza intenso da intrappolare in grandi anelli il
materiale coronale caldo. Lontano dal Sole il campo è più debole e il gas
può letteralmente "spingere" il campo magnetico nello spazio. Quando ciò
accade, il materiale fluisce lungo le linee del campo fino a grande
distanza. Il flusso costante di materiale espulso dalla corona è detto
vento solare e tende a provenire da regioni dette buchi coronali, nelle
quali il gas, essendo più freddo e meno denso che nel resto della corona,
emette minori quantità di radiazione. Il vento solare che proviene da
grandi buchi coronali (che possono sopravvivere per parecchi mesi) è
particolarmente intenso. A causa della rotazione del Sole, queste regioni
di intenso vento solare sono visibili dalla Terra con periodi di 27
giorni. Il vento solare, inoltre, produce interferenze rilevabili nel
campo magnetico terrestre.
Il passato e il futuro del Sole si possono dedurre dai modelli teorici
dell'evoluzione stellare. Durante i suoi primi 50 milioni di anni, il Sole
si contrasse fino a raggiungere pressappoco le dimensioni attuali.
L'energia gravitazionale prodotta dal collasso del gas ne riscaldò
l'interno e, quando il nucleo fu sufficientemente caldo, la contrazione si
arrestò, mentre nel centro iniziarono le reazioni nucleari di fusione di
idrogeno in elio. Il Sole si trova in questa fase della sua vita da circa
4,5 miliardi di anni e queste reazioni continueranno per altrettanto
tempo.
Quando il combustibile si esaurirà, il Sole subirà alcune modificazioni:
gli strati esterni si espanderanno dalle dimensioni attuali fino a
sfiorare l'orbita della Terra, mentre il Sole diventerà una stella gigante
rossa, un po' più fredda di adesso ma 10.000 volte più brillante. La
nostra stella rimarrà una gigante rossa, con un nucleo nel quale avviene
la fusione dell'elio, per circa mezzo miliardo di anni; esso non è
abbastanza massiccio per innescare reazioni nucleari successive o,
addirittura, un'esplosione distruttiva come accade ad altre stelle. Dopo
la fase di gigante rossa, il Sole si contrarrà fino a diventare una nana
bianca, di dimensioni simili a quelle della Terra, e si raffredderà
lentamente per molti miliardi di anni.
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LA LUNA |
|
Il Sistema Solare |
La
Terra |
Il
Sole |
La
Luna |
I
pianeti |
Gli asteroidi
| Le
comete | Meteore
e meteoriti |
Le
stelle |
Nebulose e ammassi stellari
| La Via Lattea
| Le galassie |
|
Luna L'unico satellite naturale della
Terra. Ha un raggio di 1.737 km, poco più un quarto di quello della Terra,
e massa pari a un ottantunesimo di quella terrestre. La densità media (3,4
g/cm³) e l'accelerazione di gravità sono quindi, rispettivamente, tre
quinti e un sesto di quelle del nostro pianeta. La Luna non possiede
atmosfera e sulla sua superficie non vi è traccia di acqua allo stato
liquido.
La Luna orbita attorno alla Terra a una distanza media di 384.400 km,
compiendo una rivoluzione completa in 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 11,5
secondi (rivoluzione siderale). L'orbita è ellittica e inclinata di 5° e
8' rispetto al piano dell'eclittica. Per compiere l'intero ciclo delle
fasi, ovvero per ritornare nella stessa posizione rispetto a un
determinato punto della superficie terrestre, impiega invece 29 giorni, 12
ore, 44 minuti e 2,8 secondi (rivoluzione sinodica o mese lunare). Il
periodo di rotazione è uguale a quello di rivoluzione (27,32 giorni); per
questo motivo il satellite rivolge verso il nostro pianeta sempre la
stessa faccia. Benché appaia luminosa, la Luna riflette nello spazio solo
il 7% della luce che le arriva dal Sole: l'albedo è 0,07.
2 |
|
LA LUNA VISTA DALLA
TERRA |
Dalla Terra è visibile poco più del 50% dell'intera superficie lunare. La
presenza di un moto relativo Terra-Luna, che comporta piccole variazioni
dell'angolo solido sotto cui il satellite è visto da un determinato punto
della superficie terrestre, permette inoltre di osservare direttamente le
regioni situate ai bordi del corpo lunare.
Nel corso di un mese sinodico il nostro satellite mostra un ciclo di fasi
dovute alla posizione che esso occupa sia rispetto alla Terra, dalla quale
viene osservato, sia rispetto al Sole, che lo illumina rendendolo
visibile. Nella cosiddetta fase di novilunio (o di Luna nuova), la Luna si
trova tra la Terra e il Sole e la faccia che essa rivolge verso la
superficie terrestre, non essendo illuminata dai raggi del Sole, ci appare
oscura; durante la fase di primo quarto, circa una settimana dopo, la
Luna, il Sole e la Terra sono situati ai vertici di un triangolo
rettangolo ideale e solo metà della superficie illuminata dai raggi solari
è rivolta verso il nostro pianeta: vediamo allora solo un semicerchio
luminoso. Nella fase di plenilunio (o di Luna piena), la Luna si trova
dalla parte opposta del Sole, rispetto alla Terra, e ci rivolge l'intero
emisfero illuminato. Nell'ultima fase, l'ultimo quarto, si vede nuovamente
solo metà del disco lunare.
La Luna è crescente nella prima metà del ciclo, quando passa da nuova a
piena, e calante nella seconda metà.
Alla superficie, la temperatura della Luna varia tra un massimo di 127 °C
al mezzogiorno lunare e un minimo di -173 °C subito prima del tramonto del
Sole.
Osservato dalla Terra, il nostro satellite mostra alcune regioni scure che
fin dall’antichità vengono denominate mari; si tratta di ampie distese di
polveri finissime.
Una gran quantità di dettagli è stata rivelata dalle osservazioni al
telescopio e dall'analisi delle immagini riprese dalle moderne sonde
spaziali. Le caratteristiche visibili della superficie lunare comprendono
crateri, catene montuose, pianure, scarpate e canali. Il cratere più
grande, il Bailly, ha diametro di circa 295 km ed è profondo 3960 m,
mentre il mare più largo è il Mare Imbrium (mare delle Tempeste),
largo circa 1200 km. Le montagne più alte, nelle catene Leibnitz e Doerfel,
in prossimità del polo sud lunare, hanno picchi che raggiungono i 6100 m
di altezza, confrontabili con quelli della catena dell'Himalaya. I più
piccoli crateri visibili con i telescopi sono di circa 1,6 km di diametro.
L'origine dei crateri lunari fu a lungo oggetto di discussione; le teorie
moderne indicano che quasi tutti si formarono a causa degli impatti
violenti di velocissime meteoriti o di piccoli asteroidi, avvenuti, nella
maggior parte dei casi, nel corso delle prime fasi della formazione della
Luna. Alcuni crateri, canali e picchi conici mostrano invece
caratteristiche inequivocabili della loro origine vulcanica.
Prima dell'era moderna delle esplorazioni spaziali, gli scienziati
proposero tre teorie principali riguardo all'origine della Luna: fissione
dalla Terra, secondo la quale il satellite si staccò dalla Terra quando
questa si era appena formata; formazione indipendente in orbita terrestre
per condensazione a partire dalla nebulosa solare primordiale; e
formazione lontano dal nostro pianeta con conseguente cattura. A partire
dal 1975 lo studio delle rocce lunari e delle fotografie scattate sulla
superficie del satellite avvalorarono una nuova ipotesi secondo cui quest'ultimo
si sarebbe formato per accumulo di planetoidi.
4.1 |
|
Impatto di planetoidi |
Pubblicata per la prima volta nel 1975, questa teoria sostiene che
all'inizio del processo di formazione, almeno 4 miliardi di anni fa, il
nostro pianeta venne colpito da un corpo di dimensioni paragonabili a
quelle di Marte, detto planetoide. L'impatto catastrofico distrusse sia il
corpo sia una parte del nostro pianeta e i detriti, entrati in orbita, si
fusero formando la Luna. L'aspetto più debole della teoria dell'impatto di
planetoidi è nel fatto che essa implica che la Terra si sia fusa dopo
l'impatto, mentre la geochimica terrestre non sembra indicare un processo
così radicale.
5 |
|
ESPLORAZIONE DELLA
LUNA |
Le osservazioni telescopiche del nostro satellite, condotte tra il XIX e
il XX secolo, portarono a una conoscenza piuttosto dettagliata della sua
faccia visibile. L'emisfero nascosto, fino ad allora inosservato, venne
fotografato per la prima volta nell'ottobre del 1959 dalla sonda sovietica
Lunik III. Le immagini mostrarono che esso è simile a quello
visibile, eccetto per il fatto che non vi sono mari, e che i crateri
coprono l'intera superficie lunare, variando in dimensione da giganteschi
a microscopici. Le fotografie scattate negli anni 1964 e 1965 dalle sonde
statunitensi Rangers 7, 8 e 9 e Orbiters 1 e
2 confermarono queste osservazioni. La Luna ha complessivamente
circa tremila miliardi di crateri con diametro maggiore di 1 m.
Negli anni Sessanta, le missioni delle sonde statunitensi Surveyor
e di quelle sovietiche Lunik consentirono la misura diretta delle
proprietà fisiche e chimiche del nostro satellite. Nel luglio 1969,
durante l'allunaggio dell'Apollo 11 (vedi Esplorazione dello
spazio), vennero scattate migliaia di fotografie e prelevati campioni del
suolo lunare. Gli astronauti dell'Apollo installarono sofisticati
strumenti per misurare le condizioni di temperatura e di pressione, per
determinare il flusso di calore proveniente dall'interno del corpo del
satellite e per analizzare le molecole e gli ioni che giungono sulla sua
superficie (vedi Fasce di radiazione). Furono raccolti e inviati a
Terra anche dati sul campo magnetico e gravitazionale della Luna,
sull'entità delle vibrazioni sismiche della superficie prodotte dai
cosiddetti lunamoti (i “terremoti” lunari) e sull'effetto degli impatti di
meteoriti. Infine, per mezzo di fasci laser, venne misurata con grande
precisione la distanza Terra-Luna.
Dalla misura dell'età delle rocce lunari, si scoprì che la Luna ha circa
4,6 miliardi di anni, cioè più o meno la stessa età della Terra e
presumibilmente del resto del sistema solare. Le rocce dei mari lunari si
formarono per solidificazione di rocce fuse tra 3,16 e 3,96 miliardi di
anni fa. Sono simili ai basalti, un tipo di roccia vulcanica estremamente
diffuso sul nostro pianeta. Gli altipiani lunari (o continenti), invece,
si formarono probabilmente da un tipo di roccia ignea meno densa, detta
anortite, che consiste quasi interamente di un minerale chiamato
plagioclasio. Altri importanti campioni lunari comprendono i vetri, le
brecce (complessi miscugli di frammenti di roccia tenuti insieme
dall'effetto del calore o della pressione) e le regoliti (sottili
frammenti di roccia prodotti miliardi di anni fa dal bombardamento di
meteoriti). Vedi Geologia.
Il campo magnetico della Luna è meno intenso ed esteso di quello
terrestre. Alcune rocce lunari sono debolmente magnetiche e ciò indica che
esse si solidificarono in presenza di un campo magnetico più intenso di
quello attuale. Le misure suggeriscono che la temperatura interna della
Luna raggiunga i 1600 °C, un valore che supera il punto di fusione della
maggior parte delle rocce lunari. L'evidenza sperimentale di eventi
sismici lascia pensare, inoltre, che alcune zone vicine al centro del
satellite possano essere composte da materiali allo stato liquido.
I sismografi installati sulla superficie lunare hanno registrato segnali
che indicano l'impatto di 70/150 meteoriti con masse comprese tra 100 g e
1000 kg ogni anno. La Luna è ancora bombardata dallo spazio, benché meno
intensamente che nel passato e ciò può rappresentare un problema per
l'eventuale installazione di basi permanenti sul suo suolo. La superficie
lunare è coperta da uno strato di pietrisco che, nelle regioni dei mari, è
probabilmente profondo parecchi chilometri. Si pensa che anch'esso si sia
formato per l'impatto di meteoriti.
L'atmosfera della Luna è meno densa del miglior vuoto ottenibile nei
laboratori. Tutti e sei gli equipaggi che approdarono sul suolo lunare
(durante le missioni Apollo 11, 12, 14, 15,
16 e 17) riportarono a Terra campioni di rocce, per un
peso complessivo di 384 kg. Solo nell'ultima missione, quella dell'Apollo
17, vi era a bordo un geologo, H.H. Schmitt. Egli trascorse 22 ore
esplorando la regione della valle Taurus-Littrow, e percorse 35 km con un
fuoristrada. L'analisi accurata dei dati e delle rocce ricavati dalle
missioni lunari continua ancora oggi.
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I PIANETI |
|
Il Sistema Solare |
La
Terra |
Il
Sole |
La
Luna |
I
pianeti |
Gli asteroidi
| Le
comete | Meteore
e meteoriti |
Le
stelle |
Nebulose e ammassi stellari
| La Via Lattea
| Le galassie |
|
Pianeta Corpo celeste non dotato di luce
propria, in orbita intorno a una stella che lo illumina di luce riflessa.
Per distinguerlo da corpi analoghi, un pianeta è definito più
specificamente come un oggetto di massa non superiore a un certo multiplo
di quella di Giove (il più grande del sistema solare); il valore esatto di
questo multiplo, che segna il limite tra la classe dei pianeti e quella
delle nane brune, è piuttosto controverso: in genere si considerano
pianeti i corpi di massa non superiore a circa 20 masse gioviane e nane
brune quelli di massa compresa tra 20 e 80 masse gioviane. Gli astri
ancora più grandi sono vere e proprie stelle: sono infatti
sufficientemente massivi da sviluppare l’energia gravitazionale necessaria
a innescare le reazioni nucleari che le fanno brillare.
2 |
|
I PIANETI DEL SISTEMA
SOLARE |
I pianeti del sistema solare, in ordine di distanza dal Sole, sono
Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno (Plutone,
declassato da settembre del 2006, non viene più considerato uh
pianeta ma entra a far parte della classe dei "pianeti nani")
percorrono orbite ellittiche intorno alla nostra stella e sono visibili in
quanto ne riflettono la luce. Prendono invece il nome di pianetini o
asteroidi corpi celesti più piccoli, anch’essi in orbita intorno al Sole e
concentrati nella fascia compresa tra Marte e Giove.
Alla fine del 2003 è stato inoltre identificato, oltre l’orbita di Plutone,
un oggetto del diametro di circa 1750 km che, per dimensioni e
caratteristiche orbitali, potrebbe essere considerato il decimo pianeta
del sistema solare. Gli astronomi lo hanno battezzato Sedna, dal nome di
una divinità inuit. La comunità scientifica internazionale, e in
particolare l’International Astronomical Union, non è compatta nel
considerarlo un pianeta; si trova quindi di fronte alla necessità di
riesaminare la definizione di pianeta, per poter classificare senza
esitazioni Sedna e altri eventuali oggetti simili, troppo grandi per
essere considerati asteroidi e forse troppo piccoli per poter essere
considerati pianeti.
In base alla posizione dell’orbita rispetto alla fascia degli asteroidi,
oltre che per una somiglianza chimica e morfologica, i pianeti del sistema
solare si distinguono in pianeti interni o terrestri e in pianeti esterni
o gioviani: i primi (Mercurio, Venere, Terra, Marte) si trovano
all’interno della fascia degli asteroidi e sono costituiti essenzialmente
da materiale roccioso; i secondi (Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone)
si trovano all’esterno della fascia degli asteroidi e sono costituiti
prevalentemente da gas e ghiaccio (fa eccezione Plutone, che pare abbia
una composizione più simile a quella dei pianeti terrestri).
Fino al 1992 si conoscevano soltanto i pianeti del sistema solare. In
quell’anno, un gruppo di ricerca guidato da Alexander Wolszczan individuò
il primo pianeta extrasolare, un corpo celeste di massa pari a circa
0,000047 volte la massa di Giove, in orbita intorno alla pulsar PSR
1257+12, nella costellazione della Vergine. L’avvistamento, confermato e
reso pubblico nel 1995, fu seguito da numerose scoperte analoghe, tra cui
quelle dei pianeti 51 Pegasi B (di massa pari alla metà della massa
di Giove), 47 Ursae Majoris B (di massa pari a 2,4 volte la massa
di Giove) e 70 Virginis B (6,6 volte la massa di Giove). Tra tutti
i sistemi planetari individuati finora, il più simile a quello solare
ruota intorno alla stella HD70642, nella costellazione della Poppa (Puppis),
situata a circa 90 anni luce dalla Terra; il pianeta ha una massa doppia
di quella di Giove e dista dalla sua stella 3,3 volte la distanza
Terra-Sole.
Per adesso, il livello tecnologico degli strumenti utilizzati nella
ricerca astronomica consente solo l’individuazione dei pianeti più grandi.
Il pianeta più piccolo che sia mai stato osservato ha una massa circa 14
volte quella della Terra e orbita intorno alla stella µ Arae, nella
costellazione, appunto dell’Ara, o Altare. Si presume che nei prossimi
decenni si raggiungerà il livello necessario per individuare anche i
pianeti più piccoli, più simili alla nostra Terra.
Mercurio
Mercurio. Il pianeta più
vicino al Sole. Ha un raggio di 2.440 km, pari a circa un terzo di quello
terrestre, e una densità media (5,4 g/cm³) pressoché uguale a quella della
Terra. Mercurio ruota intorno al Sole a una distanza media di 57,91
milioni di km, descrivendo un'orbita ellittica, con periodo di rivoluzione
di 0,2408 anni e periodo di rotazione di 58,6 giorni. Poiché la sua
superficie è composta da rocce irregolari, porose e scure, esso riflette
poco la luce solare.
Studi
spettroscopici indicano la presenza di una sottile atmosfera, contenente
prevalentemente sodio e potassio emessi dalla crosta del pianeta. Le
collisioni con altri corpi formati all'inizio della storia del sistema
solare, potrebbero aver "strappato" i materiali più leggeri, e ciò
spiegherebbe la densità relativamente alta di Mercurio. La forza di
gravità sulla superficie del pianeta è circa un terzo di quella sulla
superficie terrestre.
La sonda
spaziale Mariner 10, che sorvolò Mercurio due volte nel 1974 e una
volta nel 1975, trasmise immagini di una superficie costellata di crateri,
con qualche somiglianza con quella lunare, e registrò una temperatura di
circa 350 °C sul lato esposto al Sole e di circa -150 °C sul lato in
ombra. Il Mariner 10 misurò anche un campo magnetico d'intensità
pari all'1% di quello terrestre. La superficie di Mercurio, a differenza
di quella della Luna, è solcata da lunghe scarpate, che risalgono forse al
periodo di contrazione che il pianeta attraversò durante il processo di
raffreddamento, all'inizio della sua storia. Nel 1991 potenti
radiotelescopi a terra rivelarono segni di vasti strati di ghiaccio nelle
regioni polari del pianeta, aree che non erano state rilevate dal
Mariner 10.
Il perielio
di Mercurio (il punto della sua orbita più vicino al Sole) presenta un
lento moto di precessione; la spiegazione scientifica di questo moto fu
uno dei primi successi della teoria della relatività.
Venere
Venere. Secondo pianeta del sistema
solare, in ordine di distanza dal Sole. Dopo la Luna, Venere è l'oggetto
più brillante del cielo notturno. Nell'antichità era detto Vespero,
o stella della sera, quando appariva al tramonto, e stella del mattino
oppure Phosphoros o Lucifero, quando era visibile poco prima
dell'alba. A causa delle rispettive posizioni di Venere, Terra e Sole, il
pianeta infatti non è mai visibile più di tre ore prima dell'alba e per
oltre tre ore dopo il tramonto.
Osservato al telescopio, Venere mostra un ciclo di fasi simili a quelle
della Luna, che si ripetono con un periodo sinodico di 1,6 anni. Raggiunge
la sua massima brillantezza (con magnitudine -4,4) durante la fase
crescente. I transiti sul disco solare sono rari, e avvengono a coppie, a
intervalli di poco più di un secolo. I prossimi due sono previsti per il
2004 e il 2012.
Venere è completamente coperto di nubi; ciò naturalmente rappresenta un
ostacolo per le osservazioni dirette dalla Terra e la maggior parte delle
informazioni di cui disponiamo sono state fornite dalle sonde spaziali, in
particolare da quelle che si sono posate sulla superficie del pianeta
attraversando la densa atmosfera che lo circonda. Il primo sorvolo di
Venere venne effettuato dalla sonda Mariner 2, lanciata dagli Stati
Uniti nel 1962, seguita dal Mariner 5 nel 1967 e dal Mariner 10
nel 1974. A partire dagli anni Sessanta furono inviate verso il pianeta
anche le numerose sonde sovietiche del tipo Venera; le sonde
Vega 1 e 2, dirette verso la cometa di Halley nel 1984,
sorvolarono Venere sganciando delle capsule sulla sua superficie.
Informazioni dettagliate vennero fornite dalle due navicelle statunitensi
Pioneer Venus dotate di speciali radar e sofisticati strumenti di
misura. La sonda Magellano, lanciata nel 1989, iniziò l'anno
successivo a trasmettere immagini radar del pianeta. Esse sono state
elaborate al computer per fornire una spettacolare rappresentazione
tridimensionale della superficie.
In superficie, la temperatura della densa atmosfera di Venere supera i 460
°C e la pressione è circa 90 volte maggiore di quella terrestre.
L'atmosfera è composta per il 97% da anidride carbonica (CO2) e
contiene piccole quantità di vapori di acido solforico e di azoto, e
tracce di vapor d'acqua. A circa 50 km di altitudine si trova la base
delle nubi, composte quasi interamente da acido solforico concentrato. Il
pianeta non ha un campo magnetico rilevabile.
L'elevata concentrazione di anidride carbonica è probabilmente la
conseguenza di un intenso effetto serra che avrebbe causato l'evaporazione
degli oceani e in generale dell'acqua allo stato liquido presente in
superficie, liberando di conseguenza enormi quantità di CO2
nell'atmosfera.
Alla sommità delle nubi è possibile individuare alcune caratteristiche
meteorologiche che forniscono informazioni sui venti che spirano
nell'atmosfera. Ai livelli più alti essi interessano tutto il pianeta,
dall'equatore ai poli, e raggiungono velocità dell'ordine dei 360 km/h.
Malgrado questi forti venti d'alta quota, l'atmosfera nei pressi della
superficie è generalmente calma e fino a una quota di circa 10 km la
velocità del vento è compresa tra 3 e 18 km/h.
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CARATTERISTICHE DELLA
SUPERFICIE |
Venere ruota molto lentamente attorno al proprio asse in direzione
contraria a quella degli altri pianeti, rivolgendo alla Terra sempre lo
stesso lato. L'osservazione diretta di questo lato mediante radiotelescopi
ha permesso di raccogliere informazioni dettagliate.
I dati ottenuti dalle sonde statunitensi e sovietiche, analizzati
parallelamente alle osservazioni effettuate dalla Terra, hanno mostrato
che la superficie del pianeta è sostanzialmente piatta, con due grandi
altipiani denominati terre di Ishtar e di Afrodite. Quest'ultimo, meno
elevato del primo, si estende lungo quasi metà della regione equatoriale e
si trova sulla "faccia" nascosta di Venere.
Il radar a bordo della sonda Magellano ha rivelato immensi vulcani
attivi, ampie colate di lava e molti crateri meteoritici. Il più grande
cratere osservato ha diametro di circa 160 km, mentre quello più piccolo
non supera i 5 km di diametro. Il radar della sonda sarebbe stato in grado
di risolvere, se vi fossero stati, anche crateri ancora più piccoli ma
sembra che la densa atmosfera protegga Venere dalla caduta di asteroidi di
dimensioni ridotte.
Nel complesso le sonde hanno rivelato tracce di un'attività tettonica
notevole, almeno nel passato. Tali tracce includono solchi, canyon, una
depressione che si estende per 1400 km, e un immenso cono vulcanico la cui
base ha diametro di oltre 700 km. Le sonde sovietiche hanno inviato a
terra fotografie delle zone nelle quali si sono posate e hanno rilevato
una radioattività naturale delle rocce simile a quella del granito. Le
rocce aguzze visibili nelle foto sovietiche fanno ritenere che esista
un'attività geologica che contrasta l'erosione.
Marte
Marte. Quarto pianeta del sistema
solare, in ordine di distanza dal Sole. Presenta diverse analogie con la
Terra, tra cui la durata del giorno e l'alternarsi di un ciclo di
stagioni; per questo motivo è stato ed è oggetto di numerose missioni
esplorative volte a rivelare l’eventuale presenza di forme di vita sulla
sua superficie. Marte ha due piccole lune, Phobos e Deimos, aventi
diametro rispettivamente di 21 km e 12 km e una superficie fortemente
craterizzata; si tratta forse di asteroidi catturati dal pianeta
all'inizio della sua evoluzione.
Osservato senza l'ausilio di un telescopio, Marte si presenta come un
oggetto rossastro di luminosità variabile. Nel momento di massima
vicinanza alla Terra (55 milioni di km) è, dopo la Luna e Venere,
l'oggetto più luminoso del cielo notturno. Le condizioni migliori per
l'osservazione diretta si verificano quando il pianeta si trova in
opposizione, vale a dire quando si trova più vicino alla Terra; queste
favorevoli circostanze si ripetono ogni 15 anni circa.
Se la si osserva con un telescopio, la superficie di Marte presenta ampie
regioni di un colore arancione brillante, alcune aree più scure e altre
rossastre, i cui confini variano seguendo il ciclo delle stagioni del
pianeta. A causa dell'inclinazione dell'asse di rotazione e
dell'eccentricità dell'orbita, infatti, il pianeta è caratterizzato da
estati meridionali corte e relativamente calde e da inverni lunghi e
freddi. Il colore rosso è dovuto alla superficie fortemente ossidata,
mentre le aree scure sono probabilmente composte da rocce simili ai
basalti terrestri, con la superficie ossidata e alterata dagli agenti
atmosferici. Le aree luminose sembrano di composizione simile e sono
ricoperte da polveri fini. La scapolite, un minerale abbastanza raro sulla
Terra, è diffusa ovunque sulla superficie marziana e potrebbe forse
liberare nell'atmosfera notevoli quantità di anidride carbonica (CO2).
Ai poli del pianeta vi sono ampie calotte apparentemente composte da
ghiaccio, i cui confini si allargano e si ritirano secondo le stagioni. I
dati raccolti dalla missione europea Mars Express all’inizio del
2004 sembrerebbero confermare l’ipotesi che si tratti proprio di ghiaccio
d’acqua. Il ciclo stagionale di Marte è studiato da almeno due secoli: nel
corso dell’autunno si formano, in prossimità dei poli, addensamenti di
nubi brillanti, al di sotto delle quali si deposita un sottile strato di
anidride carbonica. In primavera, alla fine della lunga notte polare,
queste nubi si dissipano e i confini delle calotte glaciali si ritirano
gradualmente verso i poli, evaporando a causa del calore solare. A metà
estate la contrazione delle calotte si arresta e fino all'autunno
successivo sopravvive un brillante deposito di brina e ghiaccio.
Oltre alle nubi polari, composte prevalentemente da anidride carbonica, si
osservano foschie d'alta quota e nubi di ghiaccio. Queste ultime derivano
dal raffreddamento di masse d'aria che si innalzano sopra le alture. Ampie
nubi giallastre, che trasportano la polvere sollevata dai venti, sono
particolarmente evidenti durante le estati nell'emisfero meridionale.
L'atmosfera di Marte è composta quasi interamente da anidride carbonica
(95%), ma sono presenti piccole quantità di azoto (2,7%), argo (1,6%),
ossigeno (0,2%) e tracce di vapore acqueo, monossido di carbonio e gas
nobili. In superficie la pressione media è circa lo 0,6% di quella
terrestre, vale a dire, uguale a quella che si misura nella nostra
atmosfera a 35 km di quota. La temperatura superficiale varia molto a
seconda dell'ora, della stagione e della latitudine; in estate può
superare i 15 °C, ma mediamente ha un valore di circa -33 °C. Poiché
l'atmosfera è molto rarefatta, favorisce il verificarsi di escursioni
termiche superiori ai 100 °C.
La quantità di vapore acqueo presente nell'atmosfera è estremamente bassa
e variabile; maggiori concentrazioni di questa sostanza si trovano nei
pressi delle calotte glaciali, soprattutto in primavera. Le condizioni di
temperatura e pressione presenti su Marte assomigliano a quelle di un
deserto d'alta quota estremamente freddo: sulla maggior parte della
superficie, sono troppo basse per permettere all'acqua di esistere allo
stato liquido.
In alcuni periodi dell’anno, alcune aree di Marte sono soggette a venti
tanto forti da creare vere e proprie tempeste di polvere. Tra la fine
della primavera e l'inizio dell'estate, nell'emisfero sud, se ne formano
di enormi proporzioni, tanto che possono oscurare la superficie per
settimane o addirittura per mesi.
Se si immagina di dividere la superficie di Marte con un cerchio inclinato
di circa 30° rispetto all'equatore, si individuano due grandi emisferi.
Quello meridionale si presenta come un territorio fortemente craterizzato,
risalente alla storia primordiale di Marte, quando, come tutti i pianeti
del sistema solare, fu soggetto a un bombardamento meteoritico molto
intenso. L'emisfero settentrionale, invece, presenta una superficie meno
craterizzata e quindi più giovane, probabilmente formata da colate
vulcaniche successive. Sono state identificate due sedi di un'attività
vulcanica passata: l'altopiano di Elysium e la regione di Tharsis. In
quest'ultima zona si trovano alcuni dei principali vulcani del sistema
solare: ad esempio, il monte Olimpo, una struttura che mostra tutte le
caratteristiche tipiche di un vulcano a scudo, raggiunge un'altezza di
oltre 25 km e ha una base di più di 600 km di diametro. Non vi sono prove
di attività vulcanica ancora in atto.
Le faglie presenti sulla superficie sono interpretate come fratture
crostali provocate da locali rigonfiamenti ed espansioni del suolo; non vi
è evidenza, infatti, di un complesso di fenomeni tettonici analoghi a
quelli che regolano le dinamiche della litosfera terrestre.
Alcune zone della superficie sono solcate da canali che fanno pensare a
resti di fiumi ormai estinti. Se ne conoscono di due tipi: uno di questi
potrebbe essere stato originato dal rilascio improvviso e catastrofico di
grandi quantità di acqua allo stato liquido. L’origine del fenomeno che
avrebbe causato la fusione improvvisa e localizzata di ghiaccio in queste
aree non è ancora chiara, ma risalirebbe alla storia antica del pianeta,
vale a dire, a oltre tre miliardi di anni fa. Vi sono poi canali più
piccoli, nei quali sono meno evidenti gli effetti dell'erosione esercitata
dall'acqua. La presenza di canali sulla superficie di Marte, in ogni caso,
costituirebbe una prova che nel suo passato siano esistite condizioni di
pressione e temperatura diverse da quelle attuali, che avrebbero
consentito la formazione e il mantenimento di acqua allo stato liquido.
Altre caratteristiche geomorfologiche attestano l’importanza dei venti ai
fini dell’azione erosiva della superficie: in particolare, vi sono grandi
dune di sabbia e altri tipi di depositi riconducibili proprio all’azione
erosiva del vento.
Dell'interno di Marte si conosce poco. Il valore relativamente basso della
densità indica che il pianeta non può avere un nucleo metallico molto
grande. Gli studi condotti sui dati raccolti dalla missione della NASA
Mars Global Surveyor sembrerebbero indicare che si tratti di un nucleo
fluido, a differenza di quanto ritenuto in passato. L’ipotesi è stata
formulata in base alla stima delle deformazioni prodotte sul pianeta
dall’attrazione gravitazionale solare: tali deformazioni, di entità
rilevabile, non sarebbero giustificate se si assumesse un nucleo
planetario rigido. La crosta del pianeta, a giudicare dalla presenza di
grandi strutture come la regione di Tharsis, potrebbe essere spessa anche
200 km, cioè cinque o sei volte di più di quella terrestre. Un sismometro
collocato a bordo del modulo di atterraggio del Viking 2 non ha
rivelato la presenza di fenomeni sismici.
La prima visione complessiva delle caratteristiche di Marte e dei suoi
satelliti venne fornita dalle sei missioni effettuate tra il 1964 e il
1976 dalle sonde statunitensi Mariner. Le prime quattro si
limitarono a transitare in vicinanza del pianeta e a raccogliere immagini
ravvicinate della superficie (una di queste, in realtà, non portò a
termine la missione); le ultime due, invece, erano state progettate per
entrare per la prima volta in orbita intorno a Marte e per osservarlo in
modo più sistematico (anche in questo caso, solo una delle due missioni fu
portata a termine con successo).
Nel 1976 furono inviate su Marte le prime sonde di tipo lander,
vale a dire capaci di posarsi sul suolo: Viking 1 e 2, che
svolsero le prime indagini alla ricerca di tracce di vita sul pianeta.
Seguirono, nel 1988, due missioni sovietiche volte all’esplorazione del
satellite Phobos, entrambe fallite; soltanto una delle due, prima che si
perdesse il contatto radio, riuscì a inviare a Terra alcuni dati e
immagini.
Negli anni Novanta del XX secolo la NASA ha promosso un vasto programma di
missioni alla ricerca di acqua e tracce di vita su Marte. Sono state
inviate diverse sonde, sia del tipo orbiter che del tipo lander,
progettate per raccogliere immagini, effettuare analisi chimiche e
misurare parametri fisici. Alcune di esse sono andate perdute prima del
compimento della missione (Mars Climate Observer, Mars Polar
Lander); altre, invece, hanno funzionato correttamente; tra queste
ultime si ricorda la missione di Mars Pathfinder, il piccolo
lander approdato sul pianeta nel luglio 1997 con l’aiuto di un sistema
di airbag e paracadute. La sonda riuscì come previsto a depositare sulla
superficie di Marte il rover Sojourner, un robot capace di
muoversi sul suolo e raccogliere immagini, effettuare analisi chimiche e
incamerare dati sull’atmosfera e le rocce marziane. Entrambi i dispositivi
funzionarono per un periodo ben superiore a quello richiesto dalla
missione, e fornirono preziosi dati e immagini.
Dopo la conclusione, nel 2001, della missione Mars Global Surveyor,
che ha fruttato la mappatura completa della superficie del pianeta, è
seguita Mars Odyssey: entrata in orbita nell’ottobre del 2001, la
sonda deve rilevare l’eventuale presenza di acqua nel sottosuolo e
studiare le condizioni elettromagnetiche del pianeta, in vista di future,
più approfondite esplorazioni. Altre missioni NASA sono state programmate
in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA): Mars Express
e Mars Exploration Rovers, partite nel 2003 – la seconda basata
sull’uso di una coppia di sonde simili a Pathfinder, denominate
Spirit e Opportunity –, Mars Reconnaissance Orbiter,
fissata per il 2005, e altre ancora.
L'idea che su Marte sia potuta esistere qualche forma di vita risale a
molto tempo fa. Nel 1877 l'astronomo italiano Giovanni Schiaparelli
annunciò di aver osservato sulla superficie del pianeta un complesso
sistema di canali. L'astronomo statunitense Percival Lowell rese pubblica
la scoperta parlando di canali artificiali e ipotizzando che queste
strutture rappresentassero il tentativo effettuato da esseri intelligenti
di irrigare un pianeta arido. Le osservazioni dalle sonde hanno smentito
tali ipotesi e altre presunte prove di vita su Marte. Al momento, non
esiste alcuna traccia di materiale organico sul pianeta. L'acqua si trova
sotto forma di ghiaccio, solo ai poli o nel sottosuolo e, come vapore o
come cristalli di ghiaccio, in piccole tracce nell'atmosfera. Inoltre
quest’ultima è molto rarefatta, il che espone la superficie a una dose
massiccia (letale per eventuali forme di vita) di radiazione ultravioletta
e agli effetti chimici distruttivi di sostanze altamente ossidanti come il
perossido di idrogeno.
A tutto questo si aggiungono i risultati degli ultimi studi condotti sul
clima della trascorsa storia geologica del pianeta, effettuati
dall’Università del Colorado. Tali studi escluderebbero che possano
essersi mai instaurate condizioni ambientali favorevoli allo sviluppo
della vita: nella maggior parte della sua esistenza, infatti, Marte
sarebbe stato perlopiù freddo e asciutto, e quindi inospitale anche per le
forme biologiche più rudimentali.
L’ipotesi che il pianeta possa avere conosciuto la vita, in ogni caso, non
è ancora del tutto esclusa. Grande clamore aveva sollevato la notizia
divulgata dalla NASA nel 1996 secondo la quale, in un meteorite marziano
trovato in Antartide, sarebbero state identificate presunte tracce di
organismi simili a batteri. Una conferma definitiva a tutte queste ipotesi
si potrà avere solo quando sarà possibile prelevare campioni del suolo
marziano da analizzare accuratamente in laboratorio. Sono in corso
numerosi studi per realizzare, nel corso del XXI secolo, una missione
verso Marte con equipaggio a bordo.
Giove
Giove. Quinto pianeta in ordine
di distanza dal Sole e primo per dimensioni tra quelli del sistema solare.
Ha volume 1400 volte maggiore di quello della Terra, ma la sua densità
media (1,3 g/cm³) è circa un quarto di quella terrestre: ciò indica che
Giove è formato da gas, piuttosto che da metalli e rocce come i pianeti
interni.
Orbita attorno al Sole a una distanza media di 778,4 milioni di km (5,2
volte maggiore di quella della Terra), compiendo una rivoluzione completa
in 11,86 anni; il suo periodo di rotazione è di 0,414 giorni e non è
uniforme. La rapida rotazione produce uno schiacciamento ai poli del
pianeta, visibile anche al telescopio. Giove mostra delle bande, rese più
appariscenti dai colori pastello delle nubi, dovute alla presenza di forti
correnti atmosferiche; una delle strutture più notevoli è la famosa
regione ovoidale color ocra nota come Grande Macchia Rossa. I colori sono
dovuti a tracce di composti che si formano a seguito di reazioni chimiche
indotte dalla luce ultravioletta, da scariche elettriche e dal calore;
alcuni di questi composti sembrano simili alle molecole organiche che si
formarono sulla Terra primordiale e che gettarono le basi della vita.
Vedi Esobiologia.
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COMPOSIZIONE,
STRUTTURA E CAMPO MAGNETICO |
La conoscenza scientifica del sistema di Giove aumentò enormemente nel
1979, con le straordinarie missioni delle sonde Voyager 1 e 2,
lanciate dalla NASA. Le osservazioni spettroscopiche dalla Terra avevano
già mostrato che la maggior parte dell'atmosfera di Giove è composta di
idrogeno molecolare; gli studi nell'infrarosso delle sonde Voyager
indicarono che l'87% circa è H2 e che la restante parte è
costituita da elio e da quantità estremamente ridotte di vapor d'acqua,
metano, neon e acido solforico. La bassa densità osservata suggerisce che
l'interno del pianeta abbia sostanzialmente la stessa composizione
dell'atmosfera (in realtà, per un pianeta gassoso è difficile dire dove
finisca l’atmosfera e dove inizi il pianeta vero e proprio; per
convenzione si suole considerare come superficie del pianeta quella su cui
i gas raggiungono la pressione di 1 atmosfera, pari a quella presente
sulla superficie terrestre al livello del mare in condizioni standard).
Giove è composto perlopiù dai due elementi più leggeri e più abbondanti
dell'universo – idrogeno ed elio – e presenta quindi una composizione
molto simile a quella del Sole e delle altre stelle. L'enorme pianeta
rappresenterebbe perciò una condensazione diretta di una parte della
nebulosa solare primordiale, la grande nube di gas e polveri interstellari
dalla quale si formò l'intero sistema solare, circa 4,6 miliardi di anni
fa.
Giove irradia nello spazio circa il doppio dell'energia che riceve dal
Sole. La fonte di questa energia sembra essere un lento collasso
gravitazionale dell'intero pianeta.
La turbolenta atmosfera di Giove è fredda. Inoltre periodiche fluttuazioni
di temperatura negli strati superiori rivelano un sistema di venti
variabile, simile a quello delle regioni equatoriali della stratosfera
terrestre. Le fotografie che documentano i cambiamenti nelle nubi di Giove
mostrano la nascita e l'evoluzione di enormi sistemi ciclonici.
Alle basse temperature dell'alta atmosfera gioviana (circa -125 °C),
l'ammoniaca ghiaccia formando i bianchi cirri visibili in molte fotografie
trasmesse dalle sonde Voyager. Nelle regioni più profonde può
condensare anche l'idrosolfuro di ammonio, che si raccoglie nelle nubi che
formano lo strato scuro diffuso del pianeta.
La temperatura alla sommità di queste nubi è circa -50 °C e la pressione
atmosferica è pressoché doppia rispetto a quella terrestre misurata al
livello del mare. Benché sia direttamente visibile solo lo strato più
esterno del pianeta, i calcoli mostrano che la temperatura e la pressione
continuano ad aumentare verso l'interno, determinando condizioni fisiche
alle quali l'idrogeno liquefa per poi transire allo stato metallico
altamente conduttore. Nel centro potrebbe esistere un nucleo di materiale
solido.
In prossimità della superficie, il campo magnetico di Giove è 14 volte più
intenso di quello terrestre e produce enormi fasce di radiazione nelle
quali vengono intrappolate particelle cariche che circondano il pianeta
fino a una distanza di 10 milioni di km.
Intorno a Giove sono stati contati 63 satelliti, molti dei quali,
recentemente scoperti, sono però di piccole dimensioni. I quattro maggiori
(Io, Europa, Ganimede e Callisto) vennero individuati da Galileo nel 1610.
Le moderne osservazioni mostrano che la densità media dei satelliti
principali varia con la distanza dal pianeta, in modo simile a quanto
accade per i pianeti del sistema solare. Io ed Europa, vicini a Giove,
sono densi e rocciosi come i pianeti interni (Mercurio, Venere): Ganimede
e Callisto, più lontani, sono composti perlopiù da ghiaccio d'acqua e
hanno densità relativamente bassa. Probabilmente durante il processo di
formazione, sia dei pianeti sia di questi satelliti, la vicinanza al corpo
centrale (rispettivamente il Sole o Giove) impedì la condensazione delle
sostanze più leggere.
La crosta ghiacciata di Callisto e Ganimede è segnata da numerosi crateri,
segni di un antico bombardamento probabilmente da parte di nuclei di
comete, simile al bombardamento di asteroidi che subì la Luna. Al
contrario, la superficie di Europa è estremamente liscia: il satellite è
ricoperto da uno strato di ghiaccio, percorso da una fitta e intricata
rete di fratture, sotto il quale potrebbe esserci acqua liquida.
La superficie del satellite più interessante, Io, ha un aspetto singolare:
vi sono zone giallastre, marroni e bianche punteggiate di nero. Io è
sconvolto dal vulcanismo: circa dieci vulcani erano in eruzione nel 1979,
al momento del passaggio del Voyager, e vi sono prove di eruzioni
successive. Dalle bocche vulcaniche viene emesso biossido di zolfo che si
condensa sulla superficie, formando un'atmosfera locale temporanea.
Gli altri satelliti di Giove sono molto più piccoli e meno studiati di
quelli galileiani. Gli otto più esterni formano due gruppi distinti e sono
probabilmente dei corpi catturati dall'intenso campo gravitazionale del
pianeta.
Vicino al pianeta, le sonde Voyager scoprirono un debole sistema di
anelli. Il materiale di cui sono formati potrebbe essere prodotto dalla
disintegrazione di piccolissimi satelliti che si muovono all'interno degli
anelli stessi, oppure dal satellite Metis che si trova appena all'esterno
di essi.
Saturno
Saturno. Sesto pianeta in ordine
di distanza dal Sole e secondo per dimensioni tra quelli del sistema
solare. La caratteristica principale di Saturno è il sistema di anelli,
osservato per la prima volta da Galileo nel 1610 e descritto correttamente
dall'astronomo olandese Christiaan Huygens.
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L'ESPLORAZIONE DEL
SISTEMA |
Osservato dalla Terra, Saturno appare come un oggetto molto luminoso, di
colore giallastro. Attraverso un telescopio sono facilmente visibili gli
anelli A e B e, in condizioni ottimali, anche D ed E. Con gli strumenti da
terra sono stati individuati soltanto nove dei trenta satelliti di Saturno
oggi conosciuti.
La conoscenza del pianeta è migliorata notevolmente dopo la spedizione
delle tre sonde statunitensi Pioneer 11 (settembre 1979),
Voyager 1 (novembre 1980) e Voyager 2 (agosto 1981). Esse
trasportavano fotocamere e strumenti per l'analisi della radiazione
elettromagnetica nelle regioni del visibile, dell’ultravioletto e
dell’infrarosso. Erano inoltre equipaggiate con strumenti per lo studio
del campo magnetico del pianeta e per la rivelazione di particelle cariche
e di grani di polvere nel mezzo interplanetario.
Saturno è costituito essenzialmente da idrogeno. La sua densità media,
0,69 g/cm³ (circa un ottavo di quella terrestre), è la più bassa rilevata
nel sistema solare. L'enorme peso dell’atmosfera che lo circonda fa sì che
la pressione aumenti rapidamente dall’esterno verso l'interno e che
l’idrogeno passi conseguentemente dallo stato gassoso a quello liquido.
Vicino al centro l'elemento, ancora più compresso, è ridotto allo stato
metallico e, assumendo le proprietà di conduttore elettrico, permette
l'instaurarsi di intense correnti responsabili del campo magnetico del
pianeta. Al centro del pianeta si trovano elementi pesanti, concentrati in
un piccolo nucleo solido di temperatura pari a circa 15.000 °C.
L'atmosfera è costituita prevalentemente da idrogeno (97% circa) ed elio
(3% circa), ma sono presenti anche piccole quantità di metano, ammoniaca e
tracce di altri gas come etano, etilene e fosfina. Le immagini dei
Voyager hanno mostrato vortici e mulinelli di nubi situati negli
strati profondi dell'atmosfera. La temperatura alla sommità di queste nubi
si aggira intorno ai -176 °C.
I movimenti delle nubi mostrano che il periodo di rotazione dell'atmosfera
vicino all'equatore del pianeta è di circa 10 ore e 11 minuti, mentre le
emissioni radio indicano che il corpo di Saturno e la sua magnetosfera
ruotano con un periodo di 10 ore, 39 minuti e 25 secondi. La differenza,
di circa 28 minuti e mezzo, tra questi due periodi, suggerisce che i venti
equatoriali di Saturno abbiano velocità prossime ai 1.700 km/h.
La magnetosfera di Saturno
consiste di una serie di fasce di radiazione a forma di ciambella nelle
quali sono intrappolati elettroni e nuclei atomici. Le fasce si estendono
per oltre due milioni di chilometri dal centro del pianeta e raggiungono
distanze maggiori nella direzione opposta a quella del Sole. La
magnetosfera interagisce con la ionosfera, lo strato superiore
dell'atmosfera, provocando aurore polari con emissione di radiazione
ultravioletta.
Un'enorme nube di atomi di idrogeno circonda l'orbita di Titano, il
satellite più grande di Saturno, e si estende fino all'orbita di Rhea.
Inoltre, un disco di plasma, composto da idrogeno e forse da ioni di
ossigeno, si estende all'esterno dell'orbita di Tethys fino quasi
all'orbita di Titano. Il plasma ruota in sincronia quasi perfetta con il
campo magnetico di Saturno.
Gli anelli di Saturno sono aggregati di detriti rocciosi e particelle
ghiacciate, di dimensioni variabili da pochi micron ad alcuni metri (1
micron = 1 milionesimo di metro). Il loro spessore non supera i 10 km,
mentre il raggio del più esterno raggiunge i 137.000 km. Nominati con le
lettere dell’alfabeto nell'ordine in cui sono stati scoperti, dall'interno
verso l'esterno sono noti come D, C, B, A, F, G ed E.
I tre anelli più grandi, facilmente individuabili da Terra anche con
strumenti amatoriali, sono A, B e C: di questi, A e B sono separati da uno
spazio detto “divisione di Cassini”, dal nome dell'astronomo italiano
Giovanni Cassini che per primo la osservò e la descrisse. Le telecamere
delle sonde Voyager 1 e 2 hanno poi permesso di
individuare all’interno di questa divisione altri cinque anelli più
sottili. L’anello D, il più vicino alla superficie del pianeta, è poco
visibile in quanto di debolissima luminosità. Un’analisi approfondita
della struttura degli anelli rivela in realtà che ciascuno di essi è
costituito dall’unione di migliaia di anelli sottili ed è caratterizzato
da numerose irregolarità, dovute probabilmente alle perturbazioni
gravitazionali prodotte dai numerosi satelliti che orbitano intorno al
pianeta.
Oggi si conoscono trenta satelliti in orbita intorno a Saturno. Hanno
dimensioni comprese tra i 4 e i 5.000 km di diametro e sono costituiti
perlopiù da ghiacci di elementi leggeri. I cinque satelliti maggiori (Mimas,
Encelado, Tethys, Dione e Rhea) hanno forma approssimativamente sferica e
sono composti in gran parte di ghiaccio d'acqua. Il materiale roccioso
costituisce forse il 40% della massa di Dione. Le superfici di questi
satelliti sono fortemente craterizzate per l'impatto di meteoriti.
Anche i satelliti esterni Iperione e Giapeto sono composti principalmente
da ghiaccio d'acqua. Su Giapeto vi è una regione molto scura che contrasta
con il resto della superficie e che, insieme alla rotazione del satellite,
è la causa della variazione di luminosità notata nel 1671 da Cassini.
Phoebe percorre con moto retrogrado un'orbita molto inclinata rispetto
all'equatore del pianeta; è probabilmente un corpo di origine cometaria
catturato dal campo gravitazionale di Saturno.
La più grande delle lune di Saturno è Titano. Il suo diametro si aggira
intorno ai 5.150 km; non è possibile stimare questo valore con maggiore
precisione a causa della densa foschia arancione che nasconde la
superficie del satellite. L'atmosfera di Titano è costituita da azoto, con
tracce di metano, etano, acetilene, etilene, cianuro, monossido e biossido
di carbonio. Sulla superficie la temperatura è di circa -182 °C e il
metano e l'etano possono essere presenti sotto forma di “pioggia”, “neve”,
ghiaccio e vapore. L'interno è composto probabilmente di un'uguale
quantità di rocce e di ghiaccio. Non è stato rilevato alcun campo
magnetico. L'emisfero meridionale è leggermente più luminoso, e l'unico
dettaglio visibile è un anello scuro nella regione polare nord.
Urano
Urano. Settimo pianeta in
ordine di distanza dal Sole, situato tra le orbite di Saturno e di
Nettuno. Dalla Terra appare di sesta magnitudine, appena visibile a occhio
nudo. Fu scoperto nel 1781 dall'astronomo William Herschel, che gli diede
il nome di Georgium Sidus (Stella di Giorgio) in onore di re
Giorgio III d'Inghilterra; il nome Urano, che venne proposto
dall'astronomo tedesco Johann Elert Bode, entrò in uso alla fine del XIX
secolo.
Urano ha un
raggio di 25.560 km, una distanza media dal Sole di 2.857 milioni di km e
un periodo di rivoluzione di 84,01 anni; compie una rotazione attorno a un
asse inclinato di 98° rispetto al piano dell'orbita, con periodo di 0,718
giorni. La sua atmosfera è composta principalmente di idrogeno ed elio,
con tracce di metano. Al telescopio il pianeta appare come un piccolo
disco verde-bluastro con un debole bordo verde. Urano ha rispettivamente
massa e volume 14,54 e 67 volte maggiori di quelli della Terra, mentre la
gravità superficiale è 1,17 volte quella del nostro pianeta. Il campo
magnetico, invece, è solo un decimo di quello terrestre, con asse
inclinato di 55° rispetto all'asse di rotazione. La densità media è 1,3 g/cm³.
Nel 1977,
sfruttando l'occultazione di una stella da parte del disco del pianeta,
l'astronomo americano James L. Elliot notò la presenza di cinque anelli
che giacevano sul suo piano equatoriale. Chiamati Alfa, Beta, Gamma, Delta
ed Epsilon (dall'anello più interno a quello più esterno), essi formano
una cintura che si estende fino a 51.300 km dal centro del pianeta; altri
quattro anelli vennero scoperti nel gennaio del 1986 dalla sonda spaziale
Voyager 2.
Urano ha 27
satelliti, che orbitano sul piano equatoriale e si muovono nello stesso
verso di rivoluzione del pianeta. I due più grandi, Oberon e Titania,
vennero individuati da Herschel nel 1787; Umbriel e Ariel vennero
osservati nel 1851 dall'astronomo William Lassell; Miranda, il più interno
dei satelliti noti prima del Voyager, fu scoperto nel 1948
dall'astronomo statunitense Gerard Peter Kuiper.
Nettuno
Nettuno. Ottavo pianeta del
sistema solare, in ordine di distanza dal Sole. Ha un raggio di 24.760 km;
il volume e la massa sono rispettivamente 72 volte e 17,15 volte più
grandi rispetto a quelli della Terra e la densità media (1,6 g/cm³) è
circa un terzo di quella terrestre. L'albedo è alta: l'84% della luce
incidente sulla superficie del pianeta viene riflessa. Nettuno orbita
intorno al Sole a una distanza media di 4.488 milioni di km, compiendo una
rivoluzione completa in 164,8 anni; il periodo di rotazione è di 0,671
giorni. Non è visibile a occhio nudo, ma se osservato con un piccolo
telescopio appare come un piccolo disco blu-verde senza caratteristiche
definite. La temperatura superficiale, pari a circa -218 °C, è molto
simile a quello di Urano, benché quest'ultimo sia molto più vicino al
Sole. Ciò lascia supporre che Nettuno abbia una sorgente interna di
energia. L'atmosfera è composta principalmente di idrogeno ed elio, ma è
presente una piccola percentuale di metano, responsabile del
caratteristico colore blu del pianeta.
Sono noti undici satelliti di Nettuno, tre dei quali, del diametro medio
di soli 35 km, individuati alla fine del 2002. Il più grande e brillante
dei satelliti è Tritone, scoperto nel 1846 (lo stesso anno della scoperta
di Nettuno). Con un diametro di 2.705 km, Tritone è poco più piccolo della
Luna; percorre un'orbita retrograda, diversamente dalla maggior parte dei
satelliti principali del sistema solare. Nonostante sia estremamente
freddo, è circondato da un'atmosfera di azoto con tracce di metano e
mostra la presenza di foschie; sulla sua superficie sono stati osservati
dei geyser che emettono materiale di composizione non nota. Nereide, il
secondo satellite (scoperto nel 1949), ha diametro di soli 320 km. Altri
sei satelliti vennero scoperti dalla sonda Voyager 2 (vedi
Esplorazione dello spazio) nel 1989. Nettuno ha anche un sistema di cinque
anelli. Il suo campo magnetico è inclinato di oltre 50° rispetto all'asse
di rotazione.
L'esistenza di Nettuno venne ipotizzata nel 1846 dall'astronomo francese
Urbain Le Verrier per spiegare le perturbazioni osservate nell'orbita di
Urano. Il pianeta venne scoperto nello stesso anno dall'astronomo tedesco
Johann Gottfried Galle, a meno di 1° dalla posizione prevista da Le
Verrier.
Plutone -
da
settembre del 2006
non viene considerato più un pianeta ma viene declassato come "pianeta
nano"
Plutone. Era il nono e ultimo pianeta
del sistema solare, in ordine di distanza dal Sole. L'esistenza di Plutone
venne ipotizzata dall'astronomo statunitense Percival Lowell per spiegare
le piccole perturbazioni osservate nel moto di Urano. Lo staff
dell'osservatorio Lowell proseguì la lunga serie di osservazioni iniziate
dallo scienziato e nel 1930 il pianeta venne effettivamente scoperto
dall'astronomo statunitense Clyde William Tombaugh nei pressi della
posizione prevista da Lowell. La massa del nuovo pianeta, tuttavia,
apparve insufficiente per spiegare le perturbazioni dell'orbita di
Nettuno, e le osservazioni continuarono nel tentativo di identificare un
decimo pianeta, che comunque non venne scoperto.
Plutone orbita attorno
al Sole a una distanza media di 5.879 milioni di km, compiendo una
rivoluzione completa in 247,9 anni. Percorre una traiettoria molto
eccentrica e in alcuni periodi è più vicino al Sole di Nettuno. Non esiste
tuttavia rischio di collisione, dal momento che la sua orbita è inclinata
di 17,2° rispetto al piano dell'eclittica e non interseca mai il cammino
di Nettuno.
Visibile solo per mezzo di grandi telescopi, Plutone appare di colore
giallastro. Per molti anni si è saputo poco di questo pianeta, ma nel 1978
gli astronomi scopersero che possiede un satellite relativamente grande,
Caronte, situato a una distanza di solo 19.000 km circa. Le orbite di
Plutone e Caronte sono tali che essi sono passati più volte l'uno di
fronte all'altro tra il 1985 e il 1990, rendendo possibile una misura
precisa delle loro dimensioni. Plutone ha un raggio di 1.195 km e Caronte
di 596 km; si tratta in effetti di un pianeta doppio, più di quanto sia il
sistema Terra-Luna. Plutone è circondato da una sottile atmosfera,
probabilmente di metano, circa 100.000 volte meno densa rispetto
all'atmosfera terrestre. Essa sembra condensarsi e formare delle calotte
polari durante i lunghi inverni del pianeta.
La densità di Plutone, 1,8 g/cm³, è pressoché doppia rispetto a quella
dell'acqua, e ciò fa pensare che esso sia molto più roccioso degli altri
pianeti del sistema solare esterno. Potrebbe trattarsi del risultato delle
reazioni chimiche avvenute durante la sua formazione e determinate da
condizioni di temperatura e pressione particolari. Alcuni astronomi hanno
suggerito che Plutone potrebbe essere un satellite di Nettuno, spinto su
un'orbita diversa, all'inizio della storia del sistema solare, a causa di
una collisione. Caronte sarebbe allora il risultato dell'accumulazione dei
frammenti generati da tale collisione.
Le più recenti scoperte compiute nelle regioni remote del sistema solare
hanno rivelato l’esistenza di oggetti di dimensioni di poco inferiori a
quelle di Plutone. In particolare, i ricercatori del California Institute
of Technology hanno avvistato nel 2002, nella fascia di Edgeworth-Kuiper,
un corpo di diametro pari a circa la metà di quello di Plutone,
provvisoriamente battezzato Quaoar (nella lingua degli antichi
abitanti dell’area di Los Angeles, “forza della creazione”) e nel 2003, un
altro corpo del diameto di circa 1750 km, chiamato Sedna. La comunità
scientifica sta cercando di stabilire se sia più corretto attribuire a
tali oggetti la dignità di pianeti, o piuttosto declassare Plutone da
pianeta a semplice oggetto della fascia di Edgeworth-Kuiper; in questo
secondo caso, Plutone dovrebbe essere considerato un asteroide o una nana
di ghiaccio.
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GLI ASTEROIDI |
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Il Sistema Solare |
La
Terra |
Il
Sole |
La
Luna |
I
pianeti |
Gli asteroidi
| Le
comete | Meteore
e meteoriti |
Le
stelle |
Nebulose e ammassi stellari
| La Via Lattea
| Le galassie |
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Asteroidi Piccoli corpi rocciosi del
sistema solare che si muovono su percorsi ellittici perlopiù tra l’orbita
di Marte e quella di Giove.
Alcuni scienziati ritengono che gli asteroidi siano i resti di un pianeta
esploso, che in origine orbitava intorno al Sole, su una traiettoria
compresa tra quella di Marte e quella di Giove; altri ritengono che
debbano avere una storia diversa, vale a dire che si debbano essere
formati singolarmente, giacché la presenza di Giove e l’attrazione
gravitazionale da esso esercitata dovrebbe aver impedito l'aggregazione di
un pianeta in quella regione celeste; forse i primi pianetini, dapprima di
dimensioni maggiori, si frammentarono a causa delle mutue collisioni, fino
a produrre la popolazione attuale.
L’asteroide in assoluto più grande che si conosca è Cerere, che ha un
diametro di circa 950 km; seguono Pallade e Vesta, di circa 550 km di
diametro. In genere gli asteroidi di dimensioni maggiori hanno forma
approssimativamente sferica, mentre quelli di diametro inferiore a 150 km
hanno più spesso forme allungate e irregolari. La maggior parte di essi,
indipendentemente dalle dimensioni, ruota attorno a un asse, con un
periodo compreso tra le 5 e le 20 ore; vi sono anche pianetini doppi, cioè
dotati di compagni, insieme ai quali ruotano intorno al comune centro di
massa.
Un interessante sistema di asteroidi è rappresentato dai “pianetini
troiani”, distribuiti in due gruppi distinti sull'orbita di Giove; uno
precede il pianeta di 60° e l'altro lo segue, con la stessa angolazione.
Nel 1977, in un'orbita compresa tra quella di Saturno e quella di Urano,
venne scoperto Chirone; le ricerche proseguirono e, all'inizio degli anni
Novanta, erano noti circa 75 asteroidi, che costituiscono la famiglia
Amor, intersecanti l'orbita di Marte; circa 50 – gli Apollo – che
intersecano l'orbita della Terra; e meno di 10 – gli Atene – con orbite
più piccole di quella terrestre. Uno dei più grandi pianetini interni è
Eros, con una lunghezza di circa 37 km. Fetonte, un asteroide
caratteristico della famiglia Apollo, associato con l'annuale sciame di
meteore delle Geminidi, si avvicina al Sole più di qualunque altro
asteroide conosciuto, raggiungendo una distanza di soli 20,9 milioni
di km.
Gli asteroidi che si avvicinano alla Terra sono obiettivi relativamente
facili per le missioni spaziali; nel 1991, la sonda spaziale Galileo,
in viaggio verso Giove, riprese le prime immagini ravvicinate
dell'asteroide 951 Gaspra: esso apparve piccolo, irregolare e costellato
di crateri, con la superficie ricoperta di un manto di materiale smosso e
frammentato, noto come regolite.
4 |
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COMPOSIZIONE
SUPERFICIALE |
Nella maggior parte dei casi, si ritiene che le meteoriti scoperte sulla
Terra siano frammenti di asteroidi; questa ipotesi, avvalorata da
osservazioni spettroscopiche e radar, effettuate con telescopi da Terra,
rende possibile una loro classificazione in categorie distinte.
Tre quarti degli asteroidi visibili da Terra, incluso Cerere, appartengono
al tipo C, che sembra essere in relazione con una classe di meteoriti
rocciose conosciuta come condriti carbonacee; queste sono considerate i
corpi più vecchi del sistema solare e hanno una composizione che
rispecchia quella della nebulosa solare primordiale: estremamente scure,
probabilmente a causa del loro contenuto di idrocarburi, esse mostrano di
aver assorbito acqua di idratazione.
Gli asteroidi di tipo S, correlati con le meteoriti rocciose ricche di
ferro, rappresentano circa il 15% del totale.
Molto più rari sono invece gli oggetti di tipo M, la cui composizione
corrisponde a quella delle meteoriti conosciute come "ferrose"; esse
consistono di una lega di ferro-nichel e potrebbero essere i nuclei di
corpi planetari fusi e differenziati, i cui strati esterni furono rimossi
dai frequenti impatti.
Pochissimi asteroidi, tra cui Vesta, sono probabilmente correlati con le
meteoriti della classe più rara: le acondriti. Essi sembrano avere una
composizione superficiale ignea come quella di molti flussi lavici
lunari e terrestri, e sono probabilmente il risultato di un parziale
processo di fusione. Una possibile spiegazione è che il sistema solare
primordiale contenesse una notevo
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LE COMETE |
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Il Sistema Solare |
La
Terra |
Il
Sole |
La
Luna |
I
pianeti |
Gli asteroidi
| Le
comete | Meteore
e meteoriti |
Le
stelle |
Nebulose e ammassi stellari
| La Via Lattea
| Le galassie |
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Cometa Corpo celeste di aspetto nebuloso, appartenente al sistema
solare. Le comete descrivono in genere orbite ellittiche, spesso molto
allungate, e sono caratterizzate da una o più code brillanti e
fluorescenti, che si formano quando esse passano in prossimità del Sole.
Le comete furono ritenute per
lungo tempo fenomeni atmosferici; nel 1577 l'astronomo danese Tycho Brahe
provò invece che si tratta di corpi celesti e, nel secolo successivo,
Isaac Newton dimostrò che esse sono soggette alle stesse leggi che
regolano il moto dei pianeti. Confrontando gli elementi orbitali di un
certo numero di comete antiche, Edmund Halley mostrò che la cometa apparsa
nel 1682 era lo stesso astro osservato nel 1607 e nel 1531 e, in base a
calcoli molto complessi, predisse con successo il passaggio del 1758. Le
apparizioni precedenti della cometa di Halley sono oggi state identificate
sulla base di antiche registrazioni che partono dal 239 a.C., ed è inoltre
probabile che l'astro brillante che apparve nel 466 a.C. fosse proprio la
cometa di Halley. Il suo ultimo passaggio risale all'inizio del 1986,
quando essa venne avvicinata dalle due sonde sovietiche Vega 1 e
Vega 2 e dalla sonda Giotto, lanciata dall'European Space
Agency (ESA); venne osservata anche da due sonde giapponesi, sebbene da
distanza maggiore.
Le comete sono composte
principalmente da un nucleo circondato da una nube fluorescente, detta
chioma (in greco, infatti, comētēs significa "chiomata"). Secondo
il modello proposto intorno al 1950 dall'astronomo statunitense Fred L.
Whipple e oggi confermato dalle più recenti osservazioni, il nucleo
contiene praticamente tutta la massa della cometa ed è formato da una
quantità di sostanze volatili, come acqua, ammoniaca e anidride carbonica,
che gli conferiscono l'aspetto di "una palla di neve sporca".
La maggior parte del gas che
forma la chioma e la coda è invece composto da molecole frammentate, o
radicali, degli elementi chimici più comuni nello spazio, quali idrogeno
atomico, carbonio, azoto e ossigeno. I radicali, ad esempio CH, NH e OH,
hanno origine dalla rottura delle molecole di metano (CH4),
ammoniaca (NH3) e acqua (H2O), che si trovano sotto
forma di ghiaccio o di composti più complessi nel nucleo della cometa. La
teoria della "palla di neve sporca" è avvalorata dall'osservazione che
molte delle comete conosciute percorrono orbite che deviano in modo
significativo dal semplice moto newtoniano. Ciò fornisce una chiara
evidenza del fatto che i gas emessi producono un effetto a jet, deviando
il nucleo dal suo cammino altrimenti prevedibile. Inoltre, le comete a
corto periodo, osservate per più rivoluzioni, tendono a indebolirsi
lentamente con il tempo, come ci si aspetterebbe da una struttura simile a
quella proposta da Whipple. Infine, l'esistenza di gruppi di comete
suggerisce che i nuclei cometari siano oggetti relativamente solidi.
La testa di una cometa,
formata da nucleo e chioma, può raggiungere dimensioni considerevoli,
confrontabili con quelle del pianeta Giove. Nella maggior parte dei casi,
tuttavia, il volume della parte solida non supera i pochi chilometri
cubici.
Quando una cometa si avvicina
al Sole, il calore di quest'ultimo determina la sublimazione del ghiaccio,
dando luogo alla formazione di una brillante coda, che a volte si estende
per milioni di chilometri. La coda è in genere diretta dalla parte opposta
rispetto al Sole, anche quando la cometa è in allontanamento da quest'ultimo:
infatti le particelle che la costituiscono vengono respinte per effetto
del vento solare, un tenue flusso di particelle emesso di continuo e a una
velocità di 400 km/s dalla corona solare. Le code delle comete, composte
da molecole ionizzate per effetto degli urti con le particelle provenienti
dal Sole, sono spesso curve e composte da polveri "spazzate" dalla
pressione della radiazione solare.
Quando una cometa si allontana
dal Sole, il gas e la polvere vengono dispersi e la coda scompare
gradualmente. La diversa lunghezza della coda e la scarsa distanza dal
Sole e dalla Terra rendono più o meno visibili le comete; alcune di esse,
caratterizzate da un'orbita relativamente piccola, hanno code così brevi
da essere praticamente inosservabili senza l'ausilio di opportuni
strumenti. Delle circa 1400 comete catalogate, meno della metà è visibile
a occhio nudo e meno del 10% è molto brillante.
Le comete percorrono orbite
ellittiche i cui periodi, calcolati per circa duecento di questi corpi
celesti, possono variare fra i 3,3 anni della cometa Encke fino ai 2000
della cometa di Donati, osservata nel 1858. Le orbite della maggior parte
delle comete sono talmente ampie da sembrare parabole e così aperte da
portare questi astri fuori dal sistema solare; i calcoli tuttavia
suggeriscono che anche in questi casi si tratta di ellissi di grande
eccentricità, con periodi fino a 40.000 o più anni.
Non sono note comete che si
siano avvicinate alla Terra muovendosi lungo traiettorie iperboliche e la
scoperta di un'orbita di questa forma potrebbe implicare un'origine
dell'astro nelle regioni esterne al sistema solare. Alcune comete,
tuttavia, passano una sola volta vicino al Sole, perché le loro orbite
vengono alterate dall'attrazione gravitazionale dei pianeti. Tali
alterazioni sono osservabili anche su scala più piccola: circa sessanta
comete, caratterizzate da periodi variabili tra 3,3 e 9 anni, hanno orbite
influenzate dal campo gravitazionale associato a Giove e sono per questo
motivo classificate come famiglia di Giove.
Le comete che hanno periodi
diversi, ma percorrono orbite simili, vengono riunite in gruppi. Il più
famoso di questi gruppi comprende la cometa Ikeya-Seki, che nel 1965 passò
molto vicino al Sole, e altri sette astri che hanno periodi di circa mille
anni. L'astronomo statunitense Brian G. Marsden ha dimostrato che la
cometa del 1965 e quella ancora più brillante del 1882 si separarono da
uno stesso nucleo, probabilmente apparso nel 1106. Questa cometa, e altre
dello stesso gruppo, si originarono forse da un'unica cometa gigante
alcune migliaia di anni fa.
Un tempo si pensava che le
comete provenissero dallo spazio interstellare. Benché tuttora non vi sia
una teoria certa sulle loro origini, molti astronomi ritengono che esse si
siano formate nelle regioni più fredde ed esterne del sistema solare dalla
materia residua delle prime fasi di vita del nostro sistema planetario.
L'astronomo olandese Jan Hendrik Oort ha ipotizzato che esista una nube di
materiale cometario, che da lui ha preso nome, situata oltre l'orbita di
Plutone e che gli effetti gravitazionali di stelle di passaggio possano
perturbare tale nube inviando materiale solido e gassoso verso l'interno
del sistema solare, dove esso si renderebbe visibile sotto forma di
cometa.
8 |
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COMETE E PIOGGE
METEORITICHE |
Esiste una stretta relazione
tra le orbite delle comete e quelle delle piogge meteoritiche. L'astronomo
italiano Giovanni Virginio Schiaparelli dimostrò che lo sciame meteoritico
delle Perseidi, visibile in agosto, si muove sulla stessa orbita della
cometa 1862 III. Analogamente lo sciame delle Leonidi, che appare in
novembre, segue la stessa orbita della cometa 1866 I. Ciò suggerisce che
numerosi sciami siano da associare all'insieme di detriti seminati dalle
comete lungo le proprie orbite.
Le comete sono state a lungo
viste dai superstiziosi come annunciatrici di calamità o di eventi
memorabili. L'apparizione di una cometa, tuttavia, può far temere una
possibile collisione dell'astro con la Terra; il nostro pianeta, in
effetti, è passato attraverso la coda di diverse comete, ma senza
riportare conseguenze significative. La caduta di un nucleo cometario su
una grande città, tuttavia, provocherebbe una completa distruzione delle
strutture e degli edifici, determinando gravissimi danni alla popolazione;
la probabilità che un tale evento si verifichi, comunque, è effettivamente
molto bassa. Alcuni scienziati ritengono che simili collisioni siano
avvenute nel passato e potrebbero, ad esempio, aver giocato un ruolo
determinante nell'estinzione dei dinosauri e nell'evoluzione della specie.
Nel 1992 la cometa Shoemaker-Levy
9 si frantumò in ventuno grandi frammenti a causa dell'intenso campo
gravitazionale di Giove. Nel mese di luglio del 1994 questi frammenti
caddero nella densa atmosfera del pianeta gigante a una velocità di circa
210.000 km/h. Negli impatti, l'enorme energia cinetica della cometa si
convertì in calore, generando una serie di esplosioni, le maggiori delle
quali produssero nelle nubi di Giove dei segni che rimasero visibili per
varie settimane.
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METEORE E METEORITI |
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Il Sistema Solare |
La
Terra |
Il
Sole |
La
Luna |
I
pianeti |
Gli asteroidi
| Le
comete | Meteore
e meteoriti |
Le
stelle |
Nebulose e ammassi stellari
| La Via Lattea
| Le galassie |
|
Meteora
Fenomeno luminoso provocato
dall'ingresso di un corpo solido nell'atmosfera di un pianeta; per effetto
dell'aumento di temperatura determinato dall'attrito con l'aria, il corpo
(meteoroide) vaporizza rapidamente, consumandosi prima di giungere al
suolo e rendendosi visibile sotto forma di scia luminosa. Le meteore
brillanti, note come bolidi, sono fenomeni rari e consistono di un nucleo
luminoso seguito da una scia di luce simile a una cometa che persiste per
alcuni minuti; alcune esplodono accompagnate da un suono simile a un
tuono. Le meteore deboli, dette stelle cadenti, sono generalmente fenomeni
singoli e sporadici. Vi sono però dei periodi dell'anno in cui,
nell'intervallo di pochi giorni o addirittura di poche ore, si vedono
migliaia di meteore, che sembrano provenire da una stessa regione del
cielo detta quadrante. Questi sciami sono detti piogge meteoritiche e
prendono il nome dalla costellazione in cui si trova il quadrante. Alcuni
di essi appaiono ogni anno nello stesso giorno e sono detti piogge
periodiche; altri si verificano irregolarmente. I periodi delle piogge
meteoritiche coincidono generalmente con quelli di alcune comete. La
maggior parte dei meteoroidi si disintegrano in volo e, sulla Terra,
cadono solo delle polveri; i frammenti di meteoroidi che riescono a
raggiungere la superficie terrestre o di un altro pianeta sono detti
meteoriti.
Meteorite
Frammento di meteoroide che
riesce a raggiungere la superficie della Terra o di un altro pianeta senza
consumarsi completamente durante l'attraversamento dell'atmosfera. Le
meteoriti trovate sulla Terra vengono classificate in tre tipi, a seconda
della loro composizione: sideriti, costituite quasi esclusivamente da
ferro, con piccole percentuali di nichel e tracce di altri metalli come il
cobalto; sideroliti, costituite da silicati e da leghe di ferro-nichel in
uguali proporzioni; e aeroliti, costituite in prevalenza o esclusivamente
da silicati.
Benché si
pensi che la maggior parte delle meteoriti siano frammenti di asteroidi o
di comete, recenti studi geochimici hanno mostrato che alcune aeroliti
antartiche provengono dalla Luna e da Marte, dai quali sono state
probabilmente eiettate a causa del violento impatto di qualche asteroide.
Gli stessi asteroidi sono frammenti dei pianetini, formatisi circa 4,6
miliardi di anni fa, quando si formò anche la Terra. Le sideriti
rappresentano probabilmente i nuclei di tali pianetini, mentre le aeroliti
(a parte quelle di origine lunare e marziana) ne rappresenterebbero la
crosta. Le meteoriti, in generale, mostrano una superficie irregolare e
una crosta scura e fusa; quelle più grandi colpiscono la Terra con impatti
tremendi, creando ampi crateri.
La più
grande meteorite conosciuta, pesante circa 55 tonnellate, è stata
rinvenuta a Hoba, in Namibia. Un'altra meteorite, pesante oltre 31
tonnellate, è detta Ahnighito ("Tenda") e fu scoperta, insieme a
due corpi più piccoli, nel 1894 nei pressi di Cape York, in Groenlandia,
dall'esploratore statunitense Robert Edwin Peary. Composte principalmente
di ferro, esse sono state usate per lungo tempo dagli inuit come fonte di
metallo per la fabbricazione di coltelli e di altre armi. La meteorite più
grande è attualmente in mostra presso il Planetario Hayden di New York. Il
più grande cratere meteoritico conosciuto venne scoperto nel 1950 nel
Québec nordoccidentale. Si tratta di una buca di 70 km di diametro,
contenente un lago e circondata da cumuli concentrici di granito
frantumato. Altri rilevanti crateri meteoritici si trovano nei pressi di
Vredefort, in Sudafrica, e in Messico, al largo delle coste della penisola
dello Yucatán.
Recenti studi hanno
stabilito quale sia la frequenza media degli impatti delle meteoriti con
l’atmosfera e la superficie terrestre. Le ricerche si sono focalizzate
in particolare sulle meteoriti di dimensioni medie, comprese tra il
metro di diametro massimo degli oggetti responsabili delle stelle
cadenti e le decine di metri dei corpi più grandi e spettacolari: è
stato così stabilito che, ad esempio, l’impatto con una meteorite di 50
m di diametro avviene sulla Terra con una frequenza assai minore del
previsto, pari a circa una volta ogni mille anni.
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LE STELLE |
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Il Sistema Solare |
La
Terra |
Il
Sole |
La
Luna |
I
pianeti |
Gli asteroidi
| Le
comete | Meteore
e meteoriti |
Le
stelle |
Nebulose e ammassi stellari
| La Via Lattea
| Le galassie |
|
Stella Corpo celeste costituito da gas ad
altissima temperatura, che emette radiazione elettromagnetica prodotta
nelle reazioni nucleari sostenute al suo interno. Le stelle si formano per
contrazione gravitazionale di giganteschi addensamenti di materia
interstellare; sono costituite per la maggior parte da idrogeno, che a
poco a poco si trasforma in elio e, successivamente, in elementi più
pesanti. Le reazioni di fusione nucleare che rendono possibile questa
trasformazione hanno luogo nel nucleo della stella, dove sono presenti le
condizioni di temperatura e di pressione necessarie per innescarle e
sostenerle.
2 |
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CARATTERISTICHE
PRINCIPALI |
La composizione chimica è pressoché uguale per tutte le stelle; i
parametri che permettono di distinguere un astro dall’altro sono invece la
temperatura, il colore, la luminosità, la durata. In realtà, tutte queste
caratteristiche dipendono dalla massa della stella: è questa a determinare
l’intensità dell’attrazione gravitazionale che addensa la materia nella
fase iniziale, e quindi il calore sviluppato nel processo, la temperatura
di equilibrio e la quantità di reagenti disponibili per la fusione
nucleare. La massa viene generalmente espressa come multiplo o
sottomultiplo della massa del Sole, che è una stella di proporzioni
intermedie. Le stelle più grandi – le cosiddette giganti e supergiganti –
hanno massa fino a 20 volte quella solare; le più piccole – le nane
bianche – fino a un decimo dello stesso valore.
Esiste un limite inferiore alla massa di una stella: il minimo richiesto
perché in fase di contrazione gravitazionale sia raggiunta la temperatura
necessaria all’innesco delle reazioni nucleari. Tale limite si aggira
appunto intorno a 1/10 della massa del Sole. Al di sotto di questo valore,
il corpo celeste non è una stella, ma una nana bruna.
Le stelle, che sembrano fisse sulla volta celeste, in realtà si muovono
rispetto alla Terra. Le distanze in gioco, tuttavia, sono talmente grandi
da rendere impercettibili le variazioni di posizione senza l’ausilio di
potentissimi strumenti d'osservazione. Fu Edmund Halley il primo a
rilevare i moti delle stelle, accorgendosi di una differenza nelle
posizioni misurate rispetto a quelle riportate sul catalogo di Ipparco, di
quasi 2000 anni prima.
Oggi si misura la velocità di una stella come somma di una componente
radiale e di una trasversale; quella radiale viene valutata in base
all’effetto Doppler rilevato sullo spettro di emissione, quella
trasversale dall’osservazione del moto proprio della stella sulla volta
celeste; la prima risulta in genere dell’ordine di qualche chilometro al
secondo; la seconda di pochi secondi d’arco all’anno.
Più della metà delle stelle del cielo sono membri di sistemi binari o
multipli, composti da due o più corpi orbitanti intorno a un centro di
massa comune. In alcuni casi le singole componenti di un sistema binario
non si riescono a distinguere neppure con l’ausilio di un telescopio; in
questi casi, sono identificabili come tali solo per mezzo della
spettroscopia, e prendono per questo il nome di binarie spettroscopiche.
Le stelle, inoltre, possono trovarsi raggruppate in ammassi, costituiti da
astri originati dalla stessa nebulosa, o in più ampie “associazioni”. Su
scala maggiore, sono riunite in giganteschi sistemi detti galassie,
composti da miliardi di elementi ciascuna. Le costellazioni, che fin
dall’antichità sono state ideate dall’uomo per meglio identificare gli
astri sulla volta celeste, non costituiscono raggruppamenti fisicamente
significativi: per quanto appaiano vicine nel cielo, infatti, le
componenti di una stessa costellazione possono non avere alcuna relazione
l’una con l’altra.
2.3 |
|
Le stelle viste da
Terra |
Dalla Terra sono teoricamente visibili a occhio nudo circa 7000 stelle,
equamente suddivise tra i due emisferi celesti; tuttavia, a causa
dell'assorbimento atmosferico, se ne vedono normalmente circa 2000. Si
calcola che la Via Lattea – la galassia a cui appartiene il sistema solare
– contenga circa cento miliardi di stelle. Se si esclude il Sole, la
stella più vicina alla Terra è Proxima Centauri, una componente del
sistema triplo di Alpha Centauri, situata a circa 40.000 miliardi di km
dalla Terra, cioè a una distanza di 4,29 anni luce.
3 |
|
CLASSIFICAZIONE DELLE
STELLE |
Il principale criterio di classificazione delle stelle si basa
sull’analisi degli spettri. Questi, che registrano le radiazioni
elettromagnetiche emesse dagli astri, sono continui, con righe di
assorbimento sovrapposte. La presenza delle righe di assorbimento si deve
al fatto che la radiazione, allontanandosi dal nucleo dove viene prodotta,
attraversa gli involucri più esterni della stella, subendo un assorbimento
selettivo da parte degli atomi presenti. Nel 1885 l'astronomo Edward
Charles Pickering iniziò uno studio fotografico sistematico degli spettri
stellari, permettendo un’importante scoperta: essi possono essere ordinati
in una sequenza continua sulla base dell'intensità relativa delle linee di
assorbimento. Le variazioni osservate nella sequenza forniscono indizi
sull'età delle stelle e sul loro stadio di evoluzione.
Le diverse classi della sequenza spettrale sono indicate con le lettere O,
B, A, F, G, K, ed M; si distinguono in primo luogo per la differente
intensità delle righe dell'idrogeno, ma anche per la presenza o meno delle
righe di altri elementi. A seconda del tipo di spettro, ogni stella viene
contrassegnata con l’indice della classe spettrale corrispondente. Un
indice numerico compreso tra 0 e 9 permette di distinguere piccole
differenze all’interno di una stessa classe.
Comprende stelle il cui spettro contiene essenzialmente le righe
dell'elio, dell'ossigeno e dell'azoto (oltre che dell'idrogeno). Tali
stelle, le più calde in assoluto, appaiono di colore blu e vantano
temperature superficiali di 20.000-40.000 K.
In questo gruppo le righe dell'elio raggiungono la massima intensità nel
tipo B2 e si indeboliscono progressivamente nei tipi
successivi. L'intensità delle righe dell'idrogeno aumenta progressivamente
con il procedere dei tipi. Appartengono a questa classe stelle di colore
bianco-azzurro e di temperatura superficiale pari a circa 15.000 K. Una
stella celebre di classe B è Epsilon Orionis, la stella centrale della
“cintura” di Orione.
Comprende le cosiddette stelle a idrogeno, il cui spettro è dominato dalle
righe di assorbimento di questo elemento. Tali stelle appaiono di colore
bianco e hanno temperature di circa 9000 K. Un esponente tipico del gruppo
è Sirio, l’astro più luminoso della volta celeste.
Comprende stelle nelle quali sono particolarmente intense le righe H e K
del calcio e le linee caratteristiche dell'idrogeno. Il loro colore è
bianco-giallo e la temperatura superficiale circa 7000 K. Appartiene al
gruppo la stella Delta Aquilae.
Comprende stelle con righe H e K del calcio molto evidenti e linee
dell'idrogeno meno intense; sono presenti nello spettro anche le righe di
alcuni metalli, e in particolare del ferro. Per queste stelle la
temperatura superficiale si aggira intorno ai 5500 K e il colore è giallo.
Poiché il Sole appartiene a questo gruppo, le stelle di classe G sono
spesso dette stelle di tipo solare.
Comprende stelle con intense righe del calcio e di altri metalli e luce
violetta meno intensa che nelle classi precedenti. La temperatura
superficiale tipica di questa classe è di circa 4000 K, il colore è
giallo-arancione. Il gruppo è ben rappresentato dalla stella Arturo, della
costellazione di Boote.
Gli spettri di questa classe sono dominati da bande dovute alla presenza
di molecole di ossidi di metalli, in particolare dell'ossido di titanio.
L'estremo violetto dello spettro è meno intenso di quello delle stelle K.
Appartengono a questa classe stelle di colore rosso e temperatura
superficiale relativamente bassa, pari a circa 3000 K. La stella
Betelgeuse, o Alpha Orionis, è un esempio tipico di questo gruppo.
Una stella nasce da una nube di gas e polveri relativamente fredda, con
densità migliaia di volte maggiore di quella della circostante materia
interstellare. La contrazione gravitazionale di questo gas produce un
progressivo aumento della temperatura che porta alla formazione di una
protostella, un astro giovane, sorgente di radiazioni elettromagnetiche
nella banda dell'infrarosso. Via via che il processo di contrazione
gravitazionale prosegue, la temperatura aumenta; quando all’interno
dell’astro vengono raggiunti i 10 milioni di gradi, si innescano le
reazioni nucleari che trasformano l'idrogeno e il deuterio in elio, con
conseguente emissione di una grande quantità di energia nucleare.
L’energia radiativa prodotta da queste reazioni bilancia la spinta
centripeta dell’attrazione gravitazionale, per cui la contrazione si
arresta e la stella entra in una fase di stabilità.
4.1 |
|
Da protostella a
stella |
Nel diagramma di Hertzsprung-Russell (il grafico che rappresenta le stelle
conosciute in funzione della loro temperatura e luminosità) è possibile
seguire idealmente le principali tappe dell’evoluzione stellare. Le prime
fasi appena descritte sono rappresentate dai punti situati nelle zone in
alto a destra e sulla fascia diagonale del diagramma (la sequenza
principale). In sostanza la protostella, ancora relativamente fredda e
piuttosto grande, trova collocazione nella parte alta a destra del
diagramma, quella relativa alle basse temperature e agli alti valori di
luminosità; via via che l’evoluzione procede, la posizione dell’astro si
sposta idealmente nella fascia centrale, fino a occupare, una volta
raggiunto l’equilibrio, una posizione fissa della sequenza principale. Qui
la stella trascorre la maggior parte della sua vita, bruciando l’idrogeno
di cui è costituita per alimentare le reazioni di fusione che avvengono
nel suo nucleo.
4.2 |
|
Fase di gigante rossa |
Quando l'idrogeno comincia a scarseggiare nella regione centrale della
stella, il rilascio di energia si riduce, tanto da non bilanciare più la
spinta centripeta dell’attrazione gravitazionale. Riprendono quindi la
contrazione e il conseguente aumento della temperatura. Il calore
sviluppato nella contrazione si trasmette all’involucro più esterno della
stella, dove vi è dell’idrogeno residuo: si innescano così altre reazioni
nucleari che, con questo meccanismo, interessano via via tutto il volume
della stella, dagli strati più interni a quelli più esterni. In questa
fase le dimensioni sono di gran lunga maggiori che negli stadi precedenti,
e tali da giustificare la denominazione di “gigante rossa”. Una stella in
questa fase può essere interessata da fluttuazioni di volume e di
luminosità, dovute al discontinuo bilanciamento tra le due forze
contrapposte di contrazione ed espansione; nel caso si verifichino, tali
fluttuazioni fanno della gigante rossa una stella variabile.
Mentre gli strati esterni della gigante rossa si espandono, il nucleo si
contrae progressivamente, raggiungendo temperature elevatissime,
dell’ordine dei 100 milioni di gradi kelvin. Tali temperature garantiscono
la possibilità che si inneschino le reazioni di fusione dell’elio in
carbonio. Se poi la stella ha una massa superiore a quella del Sole, con
questo meccanismo di contrazione del nucleo si possono raggiungere
temperature ancora più elevate, che consentono la sintesi di elementi
chimici sempre più pesanti, fino al ferro.
Una volta esaurito tutto il combustibile a disposizione non è più
possibile l’equilibrio: non vi è più, infatti, alcuna spinta radiativa in
grado di bilanciare quella contraria di attrazione gravitazionale. La
stella va così incontro a un’inesorabile contrazione, riducendosi a un
corpo piccolo, freddo e denso. Le caratteristiche specifiche di questo
oggetto dipendono sostanzialmente dalla massa iniziale della stella. Un
astro delle dimensioni del Sole è destinato a diventare una nana bianca,
un corpo molto denso, che irradia nello spazio l’energia sviluppata nella
contrazione, ma che non è in grado di sostenere alcuna reazione nucleare a
causa dell’assenza di combustibile. Con il tempo la nana bianca si
raffredda completamente e muore, diventando una nana nera.
Per una stella con massa iniziale anche solo una volta e mezza quella del
Sole, il destino è diverso: prima di contrarsi e di diventare nana bianca,
ancora durante lo stadio di gigante rossa, espelle nello spazio grandi
quantità di materia, che vanno a costituire una nube ad anello intorno al
nucleo stellare, chiamata nebulosa planetaria. Nel caso poi che la massa
iniziale fosse ancora maggiore (oltre tre volte quella del Sole),
l’espulsione di questa porzione di materia avviene in modo esplosivo,
sotto forma di un evento di nova o supernova.
In generale, le stelle con massa molto maggiore di quella solare evolvono
rapidamente, giungendo allo stadio di supernova in pochi milioni di anni.
Il residuo di tali stelle è, a seconda dei casi, una stella di neutroni o
un buco nero. Stelle medie come il Sole hanno, invece, vite di molti
miliardi di anni.
A eccezione delle stelle visibili a occhio nudo, che hanno nomi propri,
tutti gli astri sono identificati con numeri che si riferiscono ad atlanti
e cataloghi stellari pubblicati dagli osservatori astronomici. Il primo di
tali cataloghi, l'Almagesto, venne compilato dall'astronomo
Tolomeo, con il nome e la posizione di 1028 stelle. Nel XVIII secolo
l'astronomo britannico John Flamsteed pubblicò una raccolta di carte del
cielo nella quale era specificata la posizione di circa 3000 stelle,
classificate secondo le costellazioni di appartenenza e individuate da un
numero. Il primo catalogo stellare moderno, pubblicato nel 1862
dall'osservatorio di Bonn, in Germania, conteneva le posizioni di oltre
300.000 astri.
Oggi i cataloghi stellari non sono libri, ma raccolte di lastre
fotografiche riprese con telescopi a grande campo. La prima di queste
importanti rassegne stellari venne completata alla metà degli anni
Cinquanta, utilizzando il telescopio Schmidt da 1,22 m dell'osservatorio
di monte Palomar. Ogni lastra copre una regione di cielo ampia 6° per 6°,
cosicché 1035 carte sono sufficienti a ricoprire tutto il cielo visibile
da monte Palomar. Un’analoga raccolta di carte celesti per il cielo
meridionale venne realizzata utilizzando i telescopi Schmidt situati in
Australia e in Cile.
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|
NEBULOSE E AMMASSI STELLARI |
|
Il Sistema Solare |
La
Terra |
Il
Sole |
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Luna |
I
pianeti |
Gli asteroidi
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comete | Meteore
e meteoriti |
Le
stelle |
Nebulose e ammassi stellari
| La Via Lattea
| Le galassie |
|
Nebulosa Massa di gas e di particelle di
polvere situata nello spazio interstellare. Prima dell'invenzione del
telescopio, il termine nebula (in latino "nube") era utilizzato per
tutti gli oggetti celesti di aspetto diffuso e includeva quindi ammassi
stellari e galassie.
Esistono
nebulose sia nella Via Lattea sia nelle altre galassie. Sono divise in
nebulose planetarie, resti di supernova e nebulose diffuse e ciascuna di
queste classi comprende nebulose a riflessione, a emissione e oscure.
All'interno di alcune dense nubi interstellari si trovano inoltre nebulose
molto brillanti, note come oggetti di Herbig-Haro, che sono probabilmente
il prodotto di getti di gas emessi da stelle giovani durante il processo
di formazione.
Le nebulose
planetarie, cosiddette perché osservate al telescopio ricordano vagamente
la forma dei pianeti, sono in realtà i "gusci" di materia che una stella
vecchia di media massa rilascia durante la fase evolutiva di gigante
rossa, prima di trasformarsi in nana bianca. L'oggetto ad anello nella
costellazione della Lira è un tipico esempio di nebulosa planetaria; ha
periodo di rotazione di 132.900 anni e massa pari a circa 14 volte quella
della Terra. Nella Via Lattea sono state scoperte alcune migliaia di
nebulose planetarie. Ancora più spettacolari, ma meno frequenti, sono le
nebulose che si producono dopo un'esplosione di supernova; la più famosa
di queste è forse quella del Granchio nella costellazione del Toro, che si
sta indebolendo con un tasso annuale dello 0,4% circa. Le nebulose di
questo tipo sono intense sorgenti di onde radio, come residuo
dell'esplosione che le ha generate.
Le nebulose
diffuse sono molto grandi, con dimensioni di vari anni luce, senza confini
definiti e con una forma che ricorda quella di una nuvola. Possono essere
luminose o oscure; tra le prime vi è uno degli oggetti più famosi del
cielo, la grande nebulosa di Orione. Sono note migliaia di nebulose
brillanti, attentamente studiate per mezzo di tecniche di analisi
spettrale. Le ricerche mostrano che esse possono brillare secondo due
meccanismi: o perché riflettono la luce delle stelle in esse contenute
(nelle nebulose cosiddette a riflessione), oppure, nelle nebulose a
emissione, perché emettono radiazione proveniente dal gas e dalle polveri
ionizzati presenti all'interno della nebulosa stessa.
Le nebulose
oscure sono completamente nere o poco luminose e nascondono del tutto le
regioni di cielo retrostanti; sono troppo distanti da qualunque stella per
riflettere o emettere luce in grande quantità. Una delle più famose
nebulose oscure è la Testa di Cavallo nella costellazione di Orione, così
chiamata perché la materia oscura sembra rappresentare il capo di un
cavallo, che si staglia davanti a una nube luminosa. La lunga striscia
scura che si osserva sulle lastre fotografiche della Via Lattea è una
successione di nebulose oscure. Si pensa che sia le nebulose brillanti sia
quelle oscure siano luoghi in cui, per condensazone del gas, si formano
nuove stelle.
Ammassi stellari
Ammasso stellare Ampio raggruppamento di stelle distribuite entro
una regione limitata dello spazio, originatesi a partire da un'unica
nebulosa. Gli addensamenti di gas e polveri di una nebulosa si contraggono
per effetto della forza di gravitazione, sviluppando calore e creando in
tal modo le condizioni necessarie per l'innesco delle reazioni di fusione
nucleare che hanno luogo nelle stelle. La nebulosa di Orione, nell'omonima
costellazione, è una di queste regioni attive del cosmo in cui è in corso
la formazione di stelle; al suo interno, nella zona centrale, è
concentrato un gruppo di stelle giovani denominato Trapezio. Nel complesso
la nebulosa contiene gas in quantità sufficiente a formare ancora
centinaia di stelle come quelle del Trapezio.
A seconda del loro aspetto e
della loro natura fisica, gli ammassi vengono distinti in ammassi aperti,
che non hanno una forma definita, e ammassi globulari, che presentano una
forma pressoché sferica. I primi contengono tutt'al più qualche centinaio
di stelle relativamente giovani, i secondi ne contengono fino a un
milione, spesso molto vecchie.
Si conoscono circa 2000
ammassi aperti nella Via Lattea, tutti distribuiti sul suo piano
galattico. Contengono stelle relativamente giovani, reciprocamente
attratte da una debole forza gravitazionale. I più noti sono le Pleiadi e
le Iadi, entrambi visibili a occhio nudo, nella costellazione del Toro.
L'ammasso delle Iadi si trova a una distanza di 150 anni luce dal sistema
solare e ha un diametro apparente di 5 gradi, vale a dire 10 volte le
dimensioni apparenti della Luna; il suo diametro reale è pari a circa 15
anni luce. L'ammasso delle Pleiadi (chiamate popolarmente le Sette
Sorelle) ha un diametro reale dello stesso ordine di grandezza di quello
delle Iadi, ma, dal momento che si trova a oltre 400 anni luce di distanza
dal sistema solare, appare più piccolo a un osservatore terrestre, e cioè
di un diametro apparente inferiore ai 2 gradi. Si stima che le Iadi
abbiano un'età di circa 660 milioni di anni. L'ammasso delle Pleiadi è
invece molto più giovane, essendosi formato negli ultimi 80 milioni di
anni; le stelle più calde e luminose delle Pleiadi non hanno più di
qualche milione di anni.
Gli ammassi globulari,
distribuiti in modo uniforme su un'ideale superficie sferica intorno alla
Via Lattea, contengono un numero di stelle molto superiore rispetto agli
ammassi aperti: ad esempio, il più luminoso dell'emisfero boreale,
denominato M13, visibile nella costellazione di Ercole, ne comprende circa
mezzo milione. Rispetto alle stelle che costituiscono gli ammassi aperti,
quelle che costituiscono gli ammassi globulari sono attratte da una forza
gravitazionale più intensa, e dunque assumono configurazioni più regolari
e compatte, pressoché sferiche; sono inoltre più antiche, e quindi più
ricche di elementi metallici.
Concentrazioni meno dense
degli ammassi aperti vengono definite associazioni stellari. Queste
contengono un numero di stelle paragonabile a quello degli ammassi, ma
distribuite entro uno spazio molto più ampio. Spesso gli ammassi aperti si
trovano all'interno di associazioni, in corrispondenza dei punti di
massima densità della nebulosa originaria. Esistono tre tipi di
associazioni: le associazioni OB, che contengono stelle molto calde e
massive, dei tipi stellari O e B (tale definizione discende dalla
classificazione degli spettri stellari); le associazioni R, che contengono
stelle di massa intermedia, la cui luce viene riflessa dalla polvere
cosmica circostante; e le associazioni T, che contengono giovani stelle di
piccola massa, simili al Sole, il cui "prototipo" è T Tauri. È probabile
che tutte le stelle inizino il proprio ciclo vitale in associazioni o in
ammassi, per poi sfuggirne successivamente.
Le stelle appartenenti a un
ammasso si muovono nel cosmo in modo coerente. Questo giustifica un metodo
molto efficiente per la determinazione delle loro distanze dalla Terra. Se
un ammasso si allontana dal punto di vista di un osservatore terrestre
sembra convergere, per effetto della prospettiva, verso un punto distante,
detto punto di convergenza. Misurando la velocità delle stelle lungo la
linea di osservazione (velocità radiale) attraverso la valutazione
dell'effetto Doppler, gli astronomi sono in grado di calcolare la distanza
degli ammassi attraverso l'applicazione di metodi geometrici.
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|
LA VIA LATTEA |
|
Il Sistema Solare |
La
Terra |
Il
Sole |
La
Luna |
I
pianeti |
Gli asteroidi
| Le
comete | Meteore
e meteoriti |
Le
stelle |
Nebulose e ammassi stellari
| La Via Lattea
| Le galassie |
|
Via Lattea Nome della grande galassia che
contiene il Sole e tutto il sistema solare. Il nome deriva, per
estensione, da quello della debole striscia luminosa di aspetto
lattiginoso che è visibile nel cielo durante le ore notturne; il chiarore
diffuso di questa fascia è prodotto dall’insieme di innumerevoli stelle
troppo lontane per essere distinte singolarmente a occhio nudo. Tutti gli
astri che vediamo in cielo, fatta eccezione per alcune galassie – che per
la grande distanza ci appaiono come singoli corpi celesti – appartengono
alla Via Lattea.
Alle nostre latitudini il momento migliore per osservare la Via Lattea è
durante le notti estive limpide e senza luna, quando appare come una banda
luminosa e irregolare che attraversa il cielo da nord-est a sud-ovest,
estendendosi tra le costellazioni di Perseo, Cassiopea e Cefeo. Nella
regione della Croce del Nord, nella costellazione del Cigno, essa si
divide in due parti. La parte occidentale è particolarmente luminosa
proprio nella regione della Croce del Nord, si indebolisce verso Ofiuco
(il Serpentario) per la presenza di dense nubi di polvere, e riappare
nello Scorpione. La parte orientale, invece, è più brillante a sud dello
Scudo e del Sagittario. Il centro galattico è nella direzione del
Sagittario a una distanza di circa 26.000 anni luce dal Sole.
La Via Lattea è una grande galassia a spirale del diametro di 100.000 anni
luce. Contiene almeno 200 miliardi di stelle e relativi pianeti, e ha una
massa compresa tra 750 e 1000 miliardi di masse stellari. I suoi bracci si
avvolgono attorno a un rigonfiamento centrale di forma discoidale, spesso
circa 10.000 anni luce. I bracci più interni, stellari, sono probabilmente
quattro; il braccio più esterno, individuato soltanto nel 2003, è gassoso,
spesso 6500 anni luce e distante circa 60.000 anni luce dal centro della
galassia. Alcuni astronomi ritengono che la Via Lattea sia più
precisamente una galassia a spirale barrata, o che abbia una struttura
intermedia tra quella di una spirale semplice e quella di una spirale
barrata.
Le stelle sono più vicine le une alle altre nel centro che nei bracci,
dove si trovano nubi di gas e polveri interstellari. Il disco galattico è
circondato da una grande nube di idrogeno, curva e frastagliata ai bordi,
che a sua volta è attorniata da un alone sferico contenente ammassi
globulari; questo alone sembra essere di dimensioni doppie del disco
stesso. Gli studi sui movimenti delle stelle nella Via Lattea indicano che
la sua massa complessiva – compresa tra 750 e 1000 miliardi di masse
solari – è sensibilmente maggiore di quella valutabile in base alla
materia visibile. Gli astronomi ritengono perciò che la Via Lattea sia
circondata da un'enorme regione contenente materia oscura.
La Via Lattea appartiene al Gruppo Locale, un raggruppamento di una
trentina di galassie tenute insieme dalla forza gravitazionale, di cui
fanno parte anche le nubi di Magellano e la galassia di Andromeda. Del
Gruppo Locale la Via Lattea rappresenta l’elemento più massivo e il
secondo per dimensioni.
Le più recenti rilevazioni effettuate dall’osservatorio a raggi X Chandra
sembrano confermare l’ipotesi che al centro della Via Lattea si trovi un
grosso buco nero, un oggetto estremamente denso di massa pari a circa tre
milioni di volte la massa del Sole.
La Via Lattea contiene stelle azzurre molto brillanti, dette di
Popolazione I, e giganti rosse di Popolazione II. La regione centrale è
composta da stelle di quest'ultima categoria, anche se è in gran parte
invisibile perché nascosta da nubi di polveri che impediscono
l'osservazione diretta. Per penetrare lo strato di nubi sono necessarie
osservazioni radio e in infrarosso.
Il centro galattico è circondato da una regione discoidale contenente
stelle di Popolazione I e II; le più brillanti della prima categoria sono
supergiganti azzurre molto luminose. Sul piano del disco si avvolgono i
bracci della galassia, che emergono da lati opposti della regione centrale
e contengono soprattutto stelle di Popolazione I, oltre che grandi
quantità di gas e polveri interstellari. Uno dei bracci, che comprende la
grande nebulosa di Orione, passa nelle vicinanze del Sole.
La Via Lattea ruota attorno a un asse che passa per i poli galattici.
Immaginando di osservare dal polo nord galattico, la rotazione avviene in
senso orario e trascina i bracci a spirale. Il periodo di rotazione
aumenta con la distanza dal centro della galassia; nei pressi
del sistema solare esso è
di oltre 200 milioni di anni. La velocità del sistema solare dovuta a
questo moto è di circa 270 km/s.
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|
LE GALASSIE |
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Il Sistema Solare |
La
Terra |
Il
Sole |
La
Luna |
I
pianeti |
Gli asteroidi
| Le
comete | Meteore
e meteoriti |
Le
stelle |
Nebulose e ammassi stellari
| La Via Lattea
| Le galassie |
|
Galassia Agglomerato di centinaia di miliardi di stelle, gas e
polveri, legati tra loro da forze di natura gravitazionale e orbitanti
intorno a un centro comune. Tutti gli astri visibili a occhio nudo dalla
superficie terrestre, come il Sole, appartengono alla nostra galassia: la
Via Lattea.
Si ritiene che sia stato
l'astronomo persiano Al-Sufi a descrivere per la prima volta la debole
macchia di luce nella costellazione di Andromeda, che oggi è identificata
come una galassia compagna della nostra. Nel 1780 l'astronomo francese
Charles Messier pubblicò una lista di oggetti non stellari che comprendeva
anche 32 galassie. Esse sono tuttora individuate dall'iniziale
dell'astronomo (M) seguita da un numero di identificazione; la galassia di
Andromeda, ad esempio, è indicata dagli astronomi con la sigla M31.
Migliaia di galassie furono
poi identificate e catalogate da Wilhelm e Caroline Herschel e da John
Herschel, all'inizio del XIX secolo. A partire dal 1900 inoltre, lo
sviluppo di metodi fotografici sempre più sofisticati ha permesso di
scoprire moltissime galassie a enormi distanze dalla Terra; esse appaiono
così deboli sulle fotografie che possono essere distinte a fatica dalle
stelle.
Nel 1912 l'astronomo statunitense Vesto M. Slipher, analizzando i dati
raccolti presso l'osservatorio Lowell in Arizona, mise in evidenza lo
spostamento verso il rosso delle righe spettrali di tutte le galassie.
Questo fenomeno, tanto più intenso quanto maggiore è la distanza della
galassia, venne interpretato da Edwin Hubble come la prova di un moto di
allontanamento relativo di tutte le galassie e quindi come una conferma
dell'ipotesi secondo cui l'universo è in espansione. Ancora non è chiaro
se tale espansione sia destinata a proseguire per sempre; un'ipotesi è che
la forza di interazione gravitazionale tra le galassie sia sufficiente ad
arrestare il processo ed eventualmente a determinare un progressivo
avvicinamento di questi enormi agglomerati stellari. Vedi
Cosmologia.
3 |
|
CLASSIFICAZIONE DELLE
GALASSIE |
La maggior parte delle
galassie appare, a causa della distanza dalla Terra, come una nube
debolmente luminosa e solo nelle fotografie degli ammassi più vicini è
possibile distinguere le singole stelle. Le osservazioni al telescopio
permettono di determinare, seppure in modo approssimativo, la forma delle
galassie e quindi di organizzare su questa base una prima classificazione.
Le galassie ellittiche hanno
una generica forma globulare, con un nucleo brillante; esse contengono una
popolazione di stelle vecchie, hanno un piccolo quantitativo di gas e
polveri visibili e un numero relativamente basso di stelle giovani.
Le galassie a spirale invece
sono formate da un disco appiattito che contiene poche stelle vecchie, una
vasta popolazione di stelle giovani, abbondanti quantità di gas e polveri,
e grandi nubi molecolari che sono luogo di formazione stellare.
Solitamente le regioni che contengono le stelle giovani si avvolgono
attorno alla galassia, mentre un alone di stelle vecchie e deboli circonda
il disco; spesso inoltre esiste anche un nucleo più piccolo, che emette
due getti di materia ad alta energia in direzioni opposte.
Alcune galassie a disco, che
non mostrano una forma a spirale, sono classificate come irregolari;
anch'esse contengono una grande quantità di gas, polveri e stelle giovani.
Sono spesso localizzate vicino a galassie più grandi e il loro aspetto è
probabilmente il risultato dell'interazione gravitazionale con galassie di
grosse dimensioni. Alcune galassie peculiari si trovano in gruppi
ravvicinati di due o tre agglomerati e le loro reciproche interazioni
mareali hanno provocato la deformazione dei bracci a spirale, producendo
dischi distorti e lunghi getti di materia.
Le quasar sono oggetti di
aspetto stellare o quasi stellare, caratterizzati da notevoli spostamenti
verso il rosso e pertanto a grandissima distanza dalla Terra. Oggi la
maggior parte degli astronomi ritiene che questi corpi celesti siano
galassie attive i cui nuclei contengono enormi buchi neri. Essi sono
probabilmente in stretta relazione con le radiogalassie e con gli oggetti
BL Lacertae.
4 |
|
DETERMINAZIONE DELLE
DISTANZE EXTRAGALATTICHE |
La semplice osservazione
telescopica non permette di distinguere una galassia gigante lontana da
una di dimensioni minori e vicina alla Terra. Di conseguenza, per stimare
la distanza di una galassia gli astronomi confrontano la luminosità o le
dimensioni degli oggetti che essa contiene con quelle di analoghi oggetti
appartenenti alla Via Lattea. A questo scopo fanno riferimento alle
osservazioni di supernovae, che sono stelle estremamente brillanti, di
ammassi stellari e di nubi di gas. Le variabili Cefeidi, la cui luminosità
muta periodicamente, sono particolarmente preziose da questo punto di
vista, poiché il loro periodo di pulsazione è correlato con la luminosità
intrinseca. Misurando il periodo è possibile quindi risalire alla
luminosità intrinseca, e dal confronto di questa con quella apparente è
possibile determinarne la distanza.
Recentemente, inoltre, gli
astronomi hanno messo in evidenza che la velocità di rivoluzione delle
stelle attorno al centro delle galassie dipende dalla luminosità
intrinseca e dalla massa di queste ultime; in particolare le galassie che
ruotano rapidamente sono estremamente luminose; al contrario quelle che
ruotano lentamente sono intrinsecamente deboli. Le velocità orbitali delle
stelle in una galassia sono relativamente facili da misurare e così è
possibile ricavare la luminosità intrinseca della galassia e quindi la
corrispondente distanza.
5 |
|
DISTRIBUZIONE DELLE
GALASSIE |
Le galassie in genere non sono
isolate nello spazio ma formano gruppi più o meno numerosi che a loro
volta formano grandi ammassi. La nostra fa parte di un gruppo di circa
trenta galassie che gli astronomi chiamano Gruppo Locale. La Via Lattea e
la galassia di Andromeda sono le due più grandi del Gruppo, ciascuna con
cento o duecento miliardi di stelle. La Piccola e la Grande Nube di
Magellano, galassie satelliti della Via Lattea, sono piccole e deboli, e
contengono ciascuna solo circa cento milioni di stelle.
Il Gruppo Locale è un membro
periferico dell'ammasso più vicino, quello della Vergine, che contiene
migliaia di galassie di vari tipi, tutte caratterizzate da un moto nella
stessa direzione. Tale moto potrebbe essere determinato forse da un
superammasso invisibile dalla nostra posizione, anche se gli studi teorici
suggeriscono che la causa sia una stringa cosmica, cioè uno strappo
monodimensionale nel tessuto dello spazio-tempo.
Nel complesso la distribuzione
degli ammassi e dei superammassi nell'universo non è uniforme.
Superammassi di decine di migliaia di galassie si allungano in sottili
strisce che si avvolgono su grandi spazi vuoti. La Grande Muraglia, una
striscia di galassie scoperta nel 1989, si estende per oltre un miliardo
di anni luce nello spazio. I cosmologi ritengono che la materia oscura, un
ipotetico materiale che non irraggia né riflette la radiazione
elettromagnetica, possa esistere in quantità sufficiente da produrre i
campi gravitazionali responsabili della struttura non omogenea
dell'universo.
Le galassie più distanti, ai
limiti dell'universo osservabile, sono deboli oggetti blu. Immagini di
tali oggetti si ottengono puntando un telescopio in regioni apparentemente
vuote del cielo e usando opportuni rivelatori a stato solido detti CCD (Charge
Coupled Device, cioè dispositivi ad accoppiamento di carica) per
raccogliere la debole luce che essi emettono, e poi elaborando le immagini
con metodi numerici. Si riescono a osservare galassie che si allontanano
dalla Terra a circa l'88% della velocità della luce, e che si sono formate
circa due miliardi di anni dopo l'origine dell'universo.
6 |
|
ROTAZIONE DELLE
GALASSIE A SPIRALE |
Le stelle e le nubi di gas
orbitano intorno al centro delle galassie a cui appartengono, con periodi
di rivoluzione dell'ordine di centinaia di milioni di anni. Dallo studio
della posizione delle linee spettrali delle galassie, è stato possibile
dedurre che in quelle a spirale le stelle si muovono su orbite circolari,
con velocità tanto più grandi quanto maggiore è la distanza dal centro
della galassia. Sul bordo dei dischi galattici, a distanza di 150.000 anni
luce dal centro, sono state misurate velocità di 300 km/s.
Un simile comportamento è
quindi totalmente diverso da quello dei pianeti del sistema solare, la cui
velocità orbitale diminuisce all'aumentare della distanza dal Sole. Ciò
suggerisce che la massa di una galassia non sia concentrata nel punto
centrale come nel caso del sistema solare, ma al contrario che una
percentuale significativa di essa, caratterizzata da luminosità
estremamente bassa e quindi rilevabile solo in relazione agli effetti
gravitazionali, sia localizzata a grande distanza dal centro. Studi sulla
velocità delle stelle situate nella periferia delle galassie hanno
rafforzato l'ipotesi che la maggior parte della massa presente
nell'universo esista sotto forma di materia oscura.
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RADIAZIONE EMESSA DA
UNA GALASSIA |
Le galassie sono sorgenti di
vari tipi di radiazione elettromagnetica: oltre alla radiazione visibile,
anche radiazione X, gamma, radio, infrarossa. Dallo studio della
radiazione proveniente da una galassia è possibile risalire a diverse sue
caratteristiche fisiche. La forma delle galassie, in genere, viene
determinata sulla base di osservazioni ottiche, così come per lo studio
della composizione e del moto delle singole stelle si ricorre ad analisi
spettroscopiche nella regione del visibile. Molti dettagli sulla struttura
galattica, inoltre, possono essere dedotti da ricerche di radioastronomia,
poiché l'idrogeno gassoso presente nei bracci a spirale emette radiazioni
elettromagnetiche nella banda delle onde radio dello spettro. Invece, la
polvere fredda nel nucleo delle galassie a spirale emette nel range di
frequenze caratteristico dell'infrarosso.
Recenti osservazioni sulle
lunghezze d'onda dei raggi X emessi hanno confermato che gli aloni
galattici contengono gas a temperature di milioni di gradi. Osservazioni
nella regione dell'ultravioletto rivelano inoltre le proprietà dei gas
negli aloni, e forniscono preziose informazioni sull'evoluzione delle
stelle giovani delle galassie.
Un oggetto galattico di
notevole interesse dal punto di vista della radiazione emessa è Centaurus
A, galassia ellittica situata costellazione del Centauro. Le sue emissioni
nelle regioni X e gamma dello spettro sono getti violenti e molto intensi
del tipo prodotto dai burster. La galassia è inoltre sorgente di
radiazioni nella regione radio dello spettro, disposte lungo l’asse di un
disco di accrescimento che circonda il nucleo della galassia.
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