ARCHIVIO ASTRONEWS:
giugno 2008 |
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30
GIUGNO
2008:
100 anni fa
l'esplosione di Tunguska
Sui cieli della
Siberia un'esplosione da mille bombe atomiche
Tra le ipotesi la
disintegrazione di un asteroide, ma anche lo «scontro» con un
blocco di antimateria cosmica

Che un secolo fa, in piena
Siberia, si sia verificata
un’esplosione equivalente a
mille bombe nucleari di tipo
Hiroshima, e che quel remoto
fenomeno rimanga ancora un
problema insoluto, malgrado
decine di esplorazioni e
ricerche, è uno smacco per la
moderna ricerca scientifica. Ma
proprio questa è la storia della
misteriosa esplosione di
Tunguska, che il 30 giugno 2008
compie esattamente 100 anni:
tante supposizioni, tanti tenui
indizi, e ancora nessuna ipotesi
definitivamente provata. Caduta
di una cometa o di un asteroide?
Esplosione di una bolla naturale
di gas metano? Oppure, per
scivolare sul fantascientifico,
collisione fra il nostro pianeta
e un grumo di antimateria? O lo
schianto di un’astronave aliena?
Sul caso Tunguska, negli ultimi
anni, se ne sono lette di tutti
i colori, da credibili ipotesi
pubblicate su qualificate
riviste scientifiche, ad
articoli e libri di fiction
privi di qualunque fondamento.
Il centennale del mistero della
Tunguska, ancora oggi irrisolto,
merita un’attenta ricostruzione
dei fatti.
ACCECANTE COME UN SOLE -
Il 30 giugno 1908 alle 7,14 del
mattino, quando sull'altopiano
siberiano è giorno affermato,
appare un oggetto simile a un
disco solare, con una luminosità
ancora più accecante del Sole.
Sfreccia da Sud-Est a
Nord-Ovest, riempiendo il cielo
di bagliori intermittenti blu e
bianchi e lasciandosi dietro una
scia di fuoco e fumo. Fende
l'aria con un sibilo, poi piega
verso il suolo e inonda
l'orizzonte di un rosso cupo,
prima di scomparire con un sordo
boato. Alcuni riferiscono di
aver visto distintamente il
disco luminoso, contornato da
tutti i suoi fenomeni accessori;
altri lo percepiscono soltanto
indirettamente, come un lampo,
una colonna di fumo, un tremendo
tuono che fa vibrare l'aria e il
terreno. L’oggetto sembra cadere
in una zona disabitata,
immediatamente a Nord di un
corso d'acqua riportato in tutte
le carte geografiche, Tunguska,
uno di quei grandi fiumi che
dalle alture orientali si
tuffano nel bassopiano siberiano
a ingrossare le acque dello
Jenisej. Il paesaggio è quello
tipico dell'altopiano siberiano:
catene montuose e vallate che si
succedono monotone, ricoperte
dalla taiga, la fitta foresta di
conifere secolari. Tutto
attorno, una complessa rete
fluviale, punteggiata da paludi
malsane. La zona, d’inverno, è
il regno delle nevi e dei
ghiacci, con temperature che
scendono oltre i 50°C sotto lo
zero. In quella regione, che ai
primi del secolo era in gran
parte inaccessibile e in parte
abitata da popolazioni di
cacciatori nomadi, l'oggetto non
identificato sceglie una
depressione naturale per
scatenare tutta la forza del suo
impatto: una conca circondata da
colline e montagne e ricoperta
da alte conifere. Le esatte
coordinate geografiche,
determinate 19 anni dopo il
fatto, sono 60° 53’ 09” di
latitudine Nord; 101° 53’ 40” di
longitudine Est.

LA FORESTA CARBONIZZATA -
Il disastro è di vastissime
proporzioni: circa 2mila km
quadrati di foresta bruciata e
devastata, migliaia di animali
abbattuti e, stando alle
testimonianze locali, molti
cacciatori e abitanti di povere
capanne feriti e ustionati; ma,
a quanto sembra, nessun morto.
Ancora oggi, a testimonianza di
quel cataclisma, resistono
centinaia di tronchi di alberi
abbattuti e carbonizzati, a
indicare con il loro
orientamento gli effetti
dell’onda d’urto. I fenomeni
luminosi sono avvertiti entro un
raggio di 600-700 km; quelli
acustici uditi fino a mille km
di distanza. Per dare un'idea
della portata del fenomeno, se
fosse accaduto a Roma, sarebbe
stato visto da un capo all'altro
della penisola e udito da
Francoforte a Tripoli, da
Barcellona a Belgrado. Il mondo
è e rimarrà per parecchio tempo
inconsapevole dell'evento, ma i
sensibili pennini dei sismografi
e dei barografi dell'Europa
intera registrano l'accaduto che
è interpretato come uno dei
tanti terremoti lontani. Molti
anni più tardi, saranno gli
studi comparativi delle
registrazioni sismiche e
barometriche, a permettere di
calcolare la potenza scatenata
dall'esplosione della Tunguska
che fu di circa 13 mila kilotoni,
equivalente cioè a un migliaio
di bombe come quella sganciata
su Hiroshima. Le notti
successive un altro e più
appariscente fenomeno s’impone
alle popolazioni europee e
asiatiche delle alte latitudini:
molte ore dopo il tramonto del
Sole persiste una luminosità
crepuscolare di straordinaria
intensità. I giornali parlano di
«fantasmagorici bagliori
notturni» e gli astronomi
spiegano che, probabilmente, si
tratta di aurore boreali
connesse all'attività del Sole.
IL CRATERE CHE NON C’E’ -
Trascorso il turbine della prima
guerra mondiale e della
rivoluzione bolscevica,
bisognerà aspettare il 1921
perché un ricercatore del Museo
di Mineralogia di Petrograd,
Leonid A. Kulik, incuriosito dai
ritagli ormai ingialliti dei
giornali del 1908, decida di
compiere il primo sopralluogo
nella zona del disastro. Si
reca, innanzitutto, nei centri
più popolosi ai margini
dell'area colpita, alla ricerca
di testimoni oculari, e
raccoglie una grande quantità di
prove. Riesce a ricostruire la
traiettoria del corpo, pensa che
si tratti di un grosso meteorite
che cadendo a terra ha scavato
un cratere e ritiene di poterlo
scoprire, recuperando anche i
frammenti del presunto corpo
celeste. Per aver successo
nell'impresa occorre una
spedizione ben organizzata, in
grado di penetrare tra le
foreste e le montagne che
circondano il luogo
dell'impatto. Kulik impiegherà
sei anni per convincere i membri
dell'Accademia Sovietica delle
Scienze a finanziare l'impresa.
Ma la ricognizione non dà i
risultati sperati: dopo mille
fatiche e difficoltà, lo
studioso non trova ne’ il
cratere, ne’ i frammenti del
meteorite.
COMETA O ASTEROIDE? - Per
superare queste contraddizioni,
comincia a farsi strada un'idea,
avanzata nel 1930 dall'inglese
J. W. Whipple, che identifica
l'oggetto con il nucleo di una
piccola cometa avente circa 40 m
di diametro, una stima che sarà
poi rivalutata da alcuni
astronomi favorevoli a questa
ipotesi. Un nucleo cometario,
ragiona Whipple, penetrando ad
alta velocità nell'atmosfera,
può dare luogo a un'onda d'urto
e a un'esplosione distruttive e,
nello stesso tempo, a causa
della sua bassa densità e della
sua struttura a conglomerato di
ghiacci e polveri, può
disintegrarsi completamente,
disperdendo una grande quantità
di piccoli grani solidi. Si
spiegherebbero in questo modo il
fenomeno delle notti lucenti, il
mancato ritrovamento di grossi
frammenti meteoritici e
l'assenza di crateri da impatto.
Questa, ancora oggi, è l’ipotesi
sostenuta da molti scienziati
russi. Quelli occidentali,
invece, propendono per un
piccolo asteroide, anche questo
esploso e vaporizzato in aria,
tra 5 e 10 km d’altezza, che
avrebbe lasciato al suolo
soltanto tracce microscopiche.

IL
MISTERO IN FONDO AL LAGO -
La Tunguska ha attratto
l’attenzione anche di un gruppo
di studiosi italiani coordinato
dal professor Giuseppe Longo, un
fisico dell’Università
di Bologna.
Essi, dopo sopralluoghi e
analisi, pensano di avere
individuato in un piccolo
laghetto denominato Cheko, il
cratere scavato da uno dei
frammenti del presunto
asteroide. L’ipotesi, avanzata
in un articolo sulla rivista
scientifica Terra Nova (agosto
2007), non è condivisa da altri
esperti e richiederà ulteriori
esplorazioni sul fondo del lago,
alla ricerca di eventuali
frammenti del corpo celeste, per
essere provata. Fra le ipotesi
più stravaganti ne esistono due
che tuttavia si basano su studi
scientifici qualificati. La
prima, elaborata da Willard
Libby, lo scopritore della
tecnica di datazione col
carbonio 14, si basa proprio
sull’abbondanza di questo
isotopo riscontrata negli anelli
di accrescimento degli alberi
subito dopo il fenomeno: fatto
che viene attribuito alle
conseguenze di una possibile
annichilazione fra la materia
terrestre un blocco di
antimateria spaziale venuto a
contatto con l’alta atmosfera.
La seconda ipotesi esotica,
avanzata da un gruppo di fisici
dell’Università del Texas,
riconduce i fenomeni descritti
in Siberia nel 1908 allo scontro
fra il nostro pianeta e un mini
buco nero, come quelli la cui
esistenza è stata postulata
dall’astrofisico Stephen
Hawking.
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21
GIUGNO
2008:
Oggi
è il Solstizio d'Estate

Oggi è il solstizio
d'Estate, un giorno che
riveste un passaggio
fondamentale nello scorrere
del tempo e nel susseguirsi
delle stagioni.
In realtà l'estate
astronomica è ufficialmente
iniziata a notte fonda, alle
23e59 (Tempo Universale) di
ieri, 20 giugno, che per
effetto della nostra
longitudine e dell'ora
legale in vigore nel nostro
paese corrisponde alle
01e59 del 21 giugno.
Nel suo passaggio al
meridiano, il Sole (che si
trova nella costellazione
dei Gemelli ai confini delle
costellazioni del Toro e di
Orione, raggiunge la massima
altezza rispetto
all'orizzonte: la latitudine
del luogo più l’inclinazione
dell’asse della Terra
rispetto al piano della sua
orbita (circa 23°27'). In
pratica alle nostre
latitudini (circa 44°10'),
il Sole si verrà a trovare
alle 13e15 (ora del
passaggio al meridiano) a
44°10'+23°27'=67°37' sopra
l'orizzonte. Al Tropico del
Cancro invece il Sole sarà
allo zenit (90° sopra
l'orizzonte).
Il percorso del Sole in
cielo sarà il più lungo di
tutto l'anno: oggi, In
Italia avrà un’altezza di
circa 68° a Milano, 71° a
Roma, 73° a Lecce e 75° a
Palermo
La parola
solstizio
viene dal latino
Solis statio,
ovvero Sole fermo. In
effetti per alcuni giorni
prima e dopo la data del
solstizio l'altezza del Sole
sopra l'orizzonte varia così
poco da dare l’impressione
che il suo moto (in realtà
il moto della Terra intorno
al Sole) si sia fermato. Il
Sole, che rappresenta il
fuoco, è al centro di tutte
le religioni delle antiche
civiltà e rappresenta le
divinità positive
contrapposte a quelle
malvagie e tenebrose.
Nell'antichità, quindi,
astronomi e sacerdoti,
altari religiosi e
rudimentali osservatori
astronomici, si
identificavano.
E' l'apoteosi della "metà
chiara dell'anno" (vedi post
del 21 marzo); da domani le
giornate inizieranno ad
accorciarsi, inizialmente di
appena 3 secondi poi sempre
di più fino ai circa 3
minuti all'equinozio
d'Autunno, dove luce e buio
si equivarranno!
E' questo anche un periodo
che testimonia gli antichi
rapporti fra l'Uomo e il
Cielo.
Durante la prima parte della
notte campeggia verso
sud-ovest la costellazione
della Vergine, la
Spigolatrice, con la sua
stella più luminosa, Spica;
mentre alto sopra
l'orizzonte Il Pastore, con
la sua stella principale,
Arturo, conduce per il cielo
i "septem triones", i sette
buoi del Grande Carro.
Giugno, Zogn per noi
romagnoli, è il culmine
della stagione primaverile,
la stagione della rinascita.
Giungono a maturazione i
primi frutti, il grano inzia
ad ingiallire (cita un
antico proverbio, tradotto
letteralmente dal dialetto:
"per San Barnaba - l'11
giugno- il grano perde il
piede; secca di notte quanto
di giorno") e si ritorna a
celebrare i matrimoni.
Legata proprio al solstizio
è l'altrettanto antica
festività di San Giovanni
Battista, che viene sei mesi
esatti dopo la festa di San
Giovanni Evangelista del 27
dicembre, cinque giorni dopo
il solstizio d'Inverno. La
notte tra il 23 e il 24
giugno era piena di valenze
astrali e credenze
superstiziose. I defunti
scorazzavano dappertutto,
dal momento che i giorni ”si
fermavano” incominciando ad
accorciarsi.
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16
GIUGNO
2008:
Un'altra Macchia Rossa su Giove

Da un paio d'anni a questa
parte i planetologi stanno
registrando un incremento
considerevole nella
turbolenza e nella violenza
delle tempeste che
caratterizzano gli strati
più esterni di Giove. Un
chiaro segnale che qualcosa
stesse succedendo sul
pianeta gigante lo si era
percepito già nel dicembre
2005, allorchè fece la sua
comparsa una seconda macchia
rossa, successivamente
battezzata Red Spot Jr.
Un'idea che circola da tempo
tra i planetologi è che su
Giove siamo in presenza di
un vero e proprio
cambiamento climatico
globale. Secondo Philip
Marcus (UC Berkeley), per
esempio, ci si aspetta di
assistere a variazioni
termiche superiori a 10
gradi centigradi, con un
riscaldamento della fascia
equatoriale e un
corrispondente
raffreddamento intorno al
Polo sud.
Ottime ragioni, dunque, per
tenere d'occhio Giove con la
massima attenzione. Intorno
al 10 maggio scorso il
pianeta è stato oggetto di
accurate osservazioni sia
con il telescopio spaziale
Hubble (in luce visibile)
sia con il telescopio Keck
II (nel vicino infrarosso),
una campagna osservativa che
ha prodotto almeno un paio
di risultati notevoli.
Anzitutto si è notato come
la banda in cui si trova la
Grande Macchia Rossa non è
più così tranquilla com'era
ad esempio un anno fa. La
turbolenza è notevolmente
aumentata da entrambi i
lati, cosa piuttosto
insolita visto che tutte le
osservazioni precedenti
effettuate sia con Hubble
che con le sonde avevano
sempre mostrato una
turbolenza solo sul suo lato
occidentale. Un secondo
notevole risultato è stata
la rilevazione di una terza
macchia rossa a ovest della
Grande Macchia Rossa e sulla
stessa latitudine. Se
persisteranno nell'attuale
movimento relativo, si
prevede che nel prossimo
agosto le due macchie
verranno a contatto, ma non
si sa se si fonderanno
assieme oppure si
respingeranno a vicenda.
I planetologi non si sono
comunque dimenticati di Red
Spot Jr. Approfittando dei
dati raccolti dalla New
Horizons nel suo passaggio
accanto a Giove nel febbraio
2007 e integrandoli con
quelli di Hubble e del VLT,
hanno determinato alcune
importanti caratteristiche
di quell'anticiclone che, a
dispetto del nomignolo che
gli è stato affibbiato, è
comunque esteso come il
nostro pianeta. Le nuove
osservazioni hanno
confermato che, rispetto a
quanto rilevato studiando le
tempeste dalle quali ha
avuto origine, vi è stato un
incredibile aumento di
velocità dei venti che
soffiano in quel turbine,
registrando velocità massime
intorno a 620 km orari. Si è
anche notato come Red Spot
Jr. stia profondamente
interagendo con la fascia
ciclonica posta poco più a
sud e c'è chi ipotizza che
tutto questo sfocerà nella
formazione di un turbine
ancora più grande, in grado
addirittura di sovrastare
per dimensioni la più famosa
Grande Macchia Rossa.
Rimanete sintonizzati, il
braccio di ferro tra le tre
macchie si preannuncia
interessante.
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15
GIUGNO
2008:
La
categoria dei nuovi Plutoidi
Il Sistema Solare si
arricchisce di una nuova categoria di corpi celesti… Ma
chi è che decide i nomi dei vari oggetti del Sistema
Solare?

L’Unione Astronomica
Internazionale (IAU,
International Astronomical Union), durante un Comitato
Esecutivo tenutosi ad Oslo, ha recentemente introdotto
un nuovo termine per individuare i pianeti nani
simili a Plutone.
Ad un paio d’anni
circa dall’introduzione
da parte della
IAU
della nuova categoria dei pianeti nani, ecco che dunque è
stato deciso un nome per i pianeti nani transnettuniani
simili a Plutone, da cui prendono il nome di Plutoidi.
Il nome “plutoide”
è stato proposto dai membri del Comitato preposto alla
nomenclatura dei Corpi Minori (CSBN,
Committee on Small Body Nomenclature) e successivamente è
stato accettato dal Gruppo di Lavoro della Nomenclatura del
sistema planetario (WGPSN,
Working Group for Planetary System Nomenclature) ed
approvato dal Comitato Esecutivo, lo “IAU
Executive Committee”.
Dunque
i plutoidi sono quei corpi celesti
in
orbita
attorno al Sole ad una distanza maggiore di quella di
Nettuno, che sono dotati di una massa sufficiente a far sì
che la propria forza di gravità possa contrastare le forze
di un corpo rigido, in modo tale da assumere una forma
(all’incirca rotonda) dotata di equilibrio idrostatico e che
non hanno ripulito la zona circostante la loro
orbita.
I satelliti dei
plutoidi tuttavia non sono a loro volta plutoidi, anche se
così massivi da avere una forma originata dalla propria
gravità.
I primi due
oggetti conosciuti e nominati plutoidi sono Plutone
ed Eris. Ci si aspetta poi che con il
progredire della scienza e con ulteriori scoperte, il numero
dei plutoidi sia destinato ad aumentare. Viceversa il
pianeta
nano Cerere non è un plutoide dal momento che
orbita
nella fascia degli
asteroidi
tra Marte e Giove: però le attuali conoscenze scientifiche
fanno propendere l’ipotesi che Cerere sia l’unico
rappresentante della sua specie e perciò al momento non
verrà ancora introdotta una nuova categoria di pianeti nani
“simili a Cerere”.
La
IAU
è stata responsabile dai primi anni del ‘900 della
denominazione dei corpi planetari e dei loro satelliti,
mentre il già citato Comitato
CSBN
è viceversa responsabile dell’assegnazione di nomi agli
oggetti minori (ad eccezione dei satelliti dei pianeti
maggiori) del Sistema Solare.
Proprio il
CSBN
lavorerà dunque assieme al
WGPSN per decidere i nomi dei nuovi plutoidi per
assicurare che nessun
pianeta
nano abbia lo stesso nome di un altro oggetto minore del
Sistema Solare. Recentemente erano stati proprio questi due
comitati a lavorare assieme per accettare i nomi del
pianeta
nano Eris e del suo
satellite
Disnomia.
Altro compito poi
della
WGPSN è l’assegnazione della nomenclatura delle
varie caratteristiche superficiali di tutti i corpi del
Sistema Solare.
I membri dell’UAI
riuniti ad Oslo hanno inoltre discusso sui tempi e modi di
introduzione del termine plutoide e su indicazione dei due
gruppi di lavoro citati, hanno deliberato che sarà
considerato plutoide un corpo del Sistema Solare che abbia:
I due comitati poi
potranno assegnarne un nome, privilegiando eventualmente il
nome proposto dagli scopritori. Se però ulteriori indagini
ed osservazioni mostreranno che l’oggetto non è abbastanza
massivo da poter essere qualificato come plutoide, allora
manterrà comunque la sua denominazione assegnata, ma
cambierà categoria.
Ricordo infine
che la
magnitudine
assoluta H di pianeti,
pianeti nani, comete ed
asteroidi,
permette agli astronomi di comparare la luminosità di questi
oggetti, come se tutti fossero posti alla distanza di
1 Unità Astronomica (UA,
la distanza media Terra-Sole) con un angolo di fase di 0° e
cioè nella loro fase “Piena”. In questa scala, a luminosità
crescente corrisponde una
magnitudine
decrescente ed inoltre oggetti molto luminosi possono avere
una
magnitudine
negativa, mentre valori positivi di
magnitudine
corrispondono a oggetti sempre meno brillanti e luminosi.
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15
GIUGNO
2008:
I colori della
polvere marziana
Da un campione di
polvere caduto sulla piattaforma del Phoenix, ecco i
colori e le forme della sabbia di Marte.

Granelli di polvere
grandi quanto un decimo dello spessore di un capello umano
sono stati ripresi dal
Phoenix Lander
della
NASA, alla più alta risoluzione mai ottenuta
finora. ”Abbiamo immagini che mostrano la diversità
mineralogica su Marte ad una scala mai usata
nell’esplorazione planetaria”, dice Michael Hecht
del JPL
di Pasadena.
Nell’immagine:
mosaico di quattro immagini fornite dal microscopio
ottico di Phoenix, inclusa una a colori. L’immagine
risultante mostra un frammento di silicone di 3mm di
diametro dopo essere stato esposto alla polvere
sollevata dal Lander. Il substrato di silicone fornisce
una superficie adesiva per catturare particelle da
analizzare al microscopio.
Il microscopio ottico
del Lander ha riportato immagini di particelle che sono
ricadute sullo strato adesivo di silicone esposto sulla
navicella durante la fase di atterraggio e nei giorni
successivi. Alcune particelle potrebbero provenire
dall’interno della navicella, rilasciate durante i difficili
momenti dell’atterraggio, ma conformazione e colori di molte
di esse fa pensare che si tratti proprio di particelle
marziane.
“Si tratta di una
prima occhiata,” dice Hecht, “ma l’esperimento è stato una
sorta di garanzia per quello che verrà osservato con il
microscopio prima di prelevare un campione di suolo tra
quelli trasportati dal braccio robotico, e in parte è un
modo per capire come funziona il microscopio ottico. Tutti
gli strumenti stanno funzionando perfettamente”.
“Useremo in futuro i
prossimi prelievi di terreno effettuati dal braccio
meccanico per confermare se le particelle osservate in
questo campione siano effettivamente di origine marziana”,
aggiunge.
Nel frattempo, il
Phoenix ha ricevuto l’ordine di raccogliere il suo primo
campione di terreno da analizzare dettagliatamente. Ci
vorranno tuttavia diversi giorni prima che l’esperimento
abbia termine e ci restituisca primi risultati.
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14
GIUGNO
2008:
Rientrato
senza problemi lo shuttle Discovery
Al Kennedy Space Center in Florida, alle
17, 15 italiane

La navicella Discovery e'
regolarmente atterrata oggi
al Kennedy Space Center in
Florida alle 17,15 ora
italiana. La navetta
spaziale e' tornata dalla
sua missione di due
settimane riportando a terra
i sette astronauti
dell'equipaggio, tra cui il
giapponese Akihiko Hoshide e
l'americano Garrett Reisman.
Nel corso della missione e'
stato montato sulla stazione
spaziale il laboratorio
giapponese Kibo. Si e'
trattata della 123/ma
missione spaziale dello
shuttle.
GLI
AGGIORNAMENTI DEI GIORNI SCORSI
Tutto
pronto per il rientro
Tecnici
della Nasa hanno dato il via libera
Tutto
procede secondo i programmi a Houston per il
rientro dello shuttle, previsto per le 17:15
di oggi (ora italiana). A Houston i tecnici
della Nasa hanno dato la 'luce verde' alla
navetta spaziale Discovery per uscire
dall'orbita e cominciare cosi' la fase del
rientro che la portera' ad atterrare al
Centro spaziale Kennedy, in Florida, alle
11:15 ora locale. Le condizioni meteo sono
giudicate favorevoli.
Oggetto sconosciuto vicino allo shuttle
Lo hanno
notato gli astronauti, forse pezzo di
ghiaccio

Gli
astronauti dello Shuttle hanno notato un
oggetto non identificato sulla scia del
traghetto spaziale. Indagano ora sulla sua
natura. Lo ha annunciato la Nasa. L'oggetto
e' stato avvistato dopo che il Discovery
aveva acceso i motori: potrebbe trattarsi di
un pezzo di ghiaccio. Gli astronauti hanno
notato anche una ammaccatura sulla coda
della navetta. Il Discovery ha oggi avviato
le procedure per il rientro a terra previsto
domani.

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10
GIUGNO
2008:
Costruire telescopi
con la polvere della Luna

Peter
Chen del
Goddard
della
NASA ha
recentemente
mostrato
come
potrebbe
essere
molto
semplice
costruire
enormi
telescopi
sulla
Luna,
utilizzando
praticamente
soltanto
la
“polvere”
del
nostro
satellite.
Peter Chen
ed i suoi
colleghi del
Goddard
hanno
presentato
un progetto
veramente
innovativo
all’annuale
congresso
della
Società
Astronomica
Americana.
E’ da molti
anni che
Chen lavora
sulla
possibilità
di
utilizzare
nuovi
materiali
per la
costruzione
di grandi
telescopi,
soprattutto
in vista di
futuri
osservatori
lunari. Il
vero
problema in
questo caso
è quello del
trasporto
del
materiale
sul nostro
satellite.
Fondamentale
è allora
utilizzare
direttamente
qualcosa che
già si trova
sulla Luna.

Chen
ha allora simulato in
laboratorio la polvere
lunare, utilizzando una
piccola quantità di
nanotubi di carbonio,
scoperti nel 1991 e che
altro non sono che forme
“allotropiche” del carbonio
(per saperne di più guardare
su
Wikipedia
oppure su
questo
sito).
Mescolando questa sostanza
con resina
epossidica, usata
come collante, e pezzi
tritati di roccia lunare, ha
scoperto, con sua stessa
meraviglia, di avere a
disposizione un materiale
molto resistente con la
consistenza del
cemento.Questo
composto è risultato essere
perfetto per la costruzione
di specchi telescopici! E’
bastato aggiungere uno
strato di alluminio e lo
stesso ricercatore ha
costruito uno specchio da 30
cm,che ha mostrato
sorridente ai congressisti.
Sulla Luna si potrebbero
costruire facilmente
telescopi superiori anche ai
50 metri di diametro,
utilizzando praticamente
solo materiale “locale”. Non
è difficile immaginiamo cosa
si potrebbe vedere con
questi telescopi in un mondo
privo di atmosfera sia
puntandoli verso l’Universo
che verso il nostro
pianeta!
Con lo stesso materiale si
potrebbero inoltre costruire
basi per i futuri astronauti
e specchi per la “raccolta”
della luce solare. La
fantascienza sembra già
essere stata superata dalla
realtà …
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9
GIUGNO
2008:
Quanto
"pesano" quei lontani buchi neri?

Marc Seiger
e collaboratori
dell’Università
dell’Arkansas hanno
presentato al congresso
della società astronomica
americana un innovativo ed
estremamente promettente
metodo per misure la massa
di buchi neri al centro di
galassie estremamente
lontane. I ricercatori hanno
calcolato direttamente che
quanto maggiore è la massa
del
buco
nero
centrale tanto più
strettamente i bracci della
galassia
si avvolgono attorno ad
esso. Se confermato da nuove
osservazioni, il nuovo
semplice metodo aprirà
confini enormi per lo studio
dei buchi neri
super-massicci.
Fino
ad ora, la massa dei
“cannibali” galattici veniva
calcolata misurando la
velocità delle stelle vicine
al centro. Ovviamente, però,
questo metodo poteva essere
utilizzato solo per galassie
molto vicine, di cui era
possibile “vedere” le
singole stelle. Seigar ha
studiato in dettaglio 27
galassie a spirale, compresa
la nostra e quella di
Andromeda, ed ha trovato che
quelle con buchi neri
piccoli hanno un
angolo di avvolgimento
(ossia la
distanza angolare
tra i bracci ed il centro)
anche maggiori di 40°.
Quelle con buchi neri molto
più grandi hanno angoli che
scendono fino a 7°.
La
grande importanza dello
studio dei buchi neri molto
lontani risiede nel fatto
che essi ci indicherebbero
la storia evolutiva delle
galassie e le fasi della
loro crescita. I buchi neri
di cui si parla in questa
ricerca sono ovviamente
quelli super-massicci, cioè
milioni o miliardi di volte
più massicci del nostro
Sole. Se, come si pensa,
tutte le galassie hanno un
buco
nero
centrale, questi sarebbero
sicuramente un elemento
chiave per capire i
meccanismi della loro
formazione.
In
parole povere e per
sintetizzare: più i bracci
galattici si spingono verso
il centro e più grande è il
buco
nero.
Forse non era poi così
difficile da ipotizzare.
Comunque complimenti a
Seigar e colleghi.
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7 GIUGNO
2008:
Il
Premio Casaranello a Paolo Nespoli

http://it.youtube.com/watch?v=PZXTtI_kCWg
Nespoli e la missione Esperia
Per Paolo Nespoli è il primo volo spaziale, ma non si tratta del primo
italiano a visitare la ISS dalla sua costruzione iniziata nel 1998. Nespoli
segue, infatti, le orme dei suoi colleghi astronauti dell’ESA Umberto
Guidoni (2001) e Roberto Vittori (2002 and 2005).
La missione
di Nespoli, a cui è stato dato il nome Esperia dall’antico nome greco della
penisola italiana, è una delle sei opportunità di volo ottenute dall’Agenzia
Spaziale Italiana (ASI) per la fornitura alla NASA di tre contenitori cargo
pressurizzati (Multi-Purpose Logistics Modules, o MPLM) secondo un accordo
bilaterale. La stretta cooperazione tra ESA e ASI ha portato
all’assegnazione di Nespoli, membro del Corpo Europeo degli Astronauti su
questa opportunità di volo dell’ASI.
Nel corso di
questa complessa missione di assemblaggio, Nespoli giocherà un ruolo chiave
come astronauta per le attività intraveicolari (IVA) per tre delle cinque
passeggiate spaziali, inclusa l’installazione del Nodo 2. Come astronauta
assegnato all'IVA, Nespoli coordinerà le attività dall’interno della ISS nel
corso delle uscite nello spazio fin dalle fasi preparatorie, incluse la
configurazione e le fasi di test delle tute e dei vari strumenti. Aiuterà
inoltre gli astronauti a indossare le tute e seguirà la depressurizzazione
dell'airlock e la sua pressurizzazione dopo le passeggiata nello spazio.
Le altre
responsabilità di Nespoli durante la missione Esperia includono la
conduzione di un programma congiunto ESA/ASI di esperimenti nei settori
della fisiologia umana e della biologia, oltre che a numerose attività nel
campo della didattica.
Nodo 2 apre
la strada al Columbus

Nodo 2, o ‘Harmony’ come è stato designato, è il secondo dei tre elementi di
interconnessione della Stazione Spaziale. I nodi collegano i vari moduli
pressurizzati, consentendo il passaggio di astronauti e attrezzature, e
fornendo ad ogni modulo importanti risorse, come elettricità e controllo
termico e ambientale.
Harmony sarà
temporaneamente connesso con la porta di babordo del Nodo 1 nel corso della
prima passeggiata spaziale il 26 ottobre. Dopo il distacco dello Shuttle, al
termine della missione STS-120, il Nodo 2 sarà spostato nella sua posizione
finale – il portello frontale del laboratorio statunitense Destiny – con
l’aiuto del braccio robotico della Stazione.
Il Nodo 2 è
stato sviluppato per la NASA sulla base di un contratto con l’industria
europea, che ha visto Thales Alenia Space nel ruolo di capofila. L’ESA ha
fornito questo elemento alla NASA, insieme al Nodo 3, come pagamento per il
lancio del Columbus a bordo dello Space Shuttle.
"L’Italia è
molto fiera del suo ruolo nella missione e più in generale del suo ruolo nel
programma della ISS. Siamo molto soddisfatti della cooperazione con l’ESA
per il management della missione," dichiara Simonetta di Pippo, Responsabile
dell’Unità Osservazione dell’Universo dell’ASI e Coordinatore ASI della
Missione Esperia. "Auguriamo a Paolo e all’equipaggio della STS-120 una
missione di successo. Dopo gli MPLM, un altro modulo costruito
dall’industria italiana gioca un ruolo chiave nella costruzione della ISS e
questa è un’importante conferma delle capacità europea e italiana sulle
quali possiamo contare per i prossimi passi nell’esplorazione dello spazio."

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5 GIUGNO
2008:
Agganciato nuovo
laboratorio sulla ISS
Shuttle ha portato anche ricambio
toilette stazione spaziale

Gli astronauti del Discovery
hanno agganciato il
laboratorio giapponese Kibo
alla Stazione Spaziale
Internazionale. Lo ha
comunicato la Nasa. Il
laboratorio e' stato
trasferito dal braccio robot
della Stazione dal cargo
dello shuttle Discovery alla
sua collocazione all'esterno
dell'Iss. Il Discovery ha
portato nello spazio, oltre
al laboratorio giapponese,
anche un prezioso pezzo di
ricambio per la toilette
dell'Iss, che si e' guastata
alcuni giorni fa.
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5 GIUGNO
2008:
Fuochi pirotecnici sulla piccola stella

Scorrendo
l'elenco delle stelle più vicine al Sole si incontra anche
EV Lacertae, una nana rossa collocata a soli 16 anni luce di
distanza. Inutile, però, scrutare la costellazione della
Lucertola per cercare di individuarla a occhio nudo. La
stella, infatti, è molto più fredda del Sole e la sua
luminosità è abbondantemente al di sotto delle soglia di
percezione dell'occhio umano. Secondo Rachel Osten, una
ricercatrice dell'Università del Maryland che si occupa di
stelle vicine, EV Lacertae è una stella piuttosto giovane e
di modeste dimensioni, con una massa pari a circa un terzo
di quella del Sole. Alla fine di aprile, però, questa
modesta nana rossa si è resa protagonista di un autentico
spettacolo pirotecnico, un brillamento così intenso da
mettere in allarme persino l'osservatorio orbitante Swift.
La Osten e i suoi collaboratori ritengono che un ruolo
importante nel produrre questo flare potrebbe averlo giocato
l'elevata velocità con la quale la stella ruota su se
stessa. Facendo ancora il paragone con il Sole, mentre la
nostra stella impiega quattro settimane a compiere una
rotazione, EV Lacertae lo fa in soli quattro giorni.
L'elevata velocità unita con la particolare composizione
favorirebbero il sorgere di campi magnetici cento volte più
intensi di quelli del Sole. E proprio l'interazione di
questi campi magnetici sarebbe all'origine del rilascio
energetico dei brillamenti. Poichè sappiamo che sul Sole i
campi magnetici sono strettamente collegati con le macchie
superficiali, ci si può aspettare che oltre metà della
superficie di EV Lacertae sia ricoperta di macchie.
Generalmente i flare liberano energia in tutte le regioni
dello spettro elettromagnetico, ma le elevatissime
temperature raggiunte fanno sì che il loro studio sia più
proficuo impiegando telescopi progettati per le alte
energie. Per questo anche Chandra e XMM-Newton sono già
stati utilizzati per studiare EV Lacertae e stelle simili,
ma il loro campo visivo è molto ristretto, dunque devono
proprio essere sul bersaglio nel momento del brillamento per
poterlo cogliere. Non così Swift. Progettato per catturare i
lampi gamma, è dotato di un campo osservativo decisamente
più ampio e questo spiega la sua prontezza nel segnalare il
brillamento e nel seguirne l'evoluzione.
Doveroso chiedersi come mai sia stato dato tanto risalto al
brillamento di una stella tutto sommato insignificante. Già
il fatto che sia stato molto intenso e che si sia potuto
studiarne nei dettagli l'evoluzione temporale sono di per sè
due ottime ragioni, ma c'è di più. Da qualche tempo a questa
parte, infatti, sta prendendo piede l'idea che le nane rosse
possano essere ottime candidate non solo per ospitare
sistemi planetari, ma anche perchè qualcuno di tali pianeti
possa essere abitabile. Logico quindi che anche i
planetologi tengano d'occhio i fenomeni che le riguardano.
Altrettanto logico, però, chiedersi che ne sarebbe stato di
un pianeta abitabile in orbita intorno a EV Lacertae.
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4 GIUGNO
2008:
Scoperto il Pianeta più piccolo
Ruota intorno ad una
minuscola stella simile al Sole

E' stato
scoperto il piu' piccolo pianeta esterno al
Sistema Solare che ruota intorno ad un
stella simile al Sole, ma molto piu'
piccola.La scoperta si deve a ricercatori
dell'universita' di Notre Dame che ha
sfruttato la tecnica della lente
gravitazionale ed e' stata annunciata al
convegno della Societa' americana di
astronomia. Il pianeta, siglato
MOA-2007-BLG-192Lb, e' a 3.000 anni luce da
noi, ha una massa tre volte quella della
Terra e orbita intorno ad una 'nana bruna'.
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