Pubblicazione
n° 7 della “SSER
Sezione Studio e Ricerca”
Stella "POLARE" o stelle "POLARI" ?
(di Vitantonio Primiceri)
Una “stella polare”
è per definizione una stella visibile ad occhio nudo,
approssimativamente allineata con l’asse di rotazione
terrestre .
L’attuale stella polare è
α Ursae
Minoris
(α UMi), la stella più brillante della costellazione
dell’Orsa Minore. Essa fa parte di un sistema stellare
triplo e si trova a una distanza di circa 433 anni luce; la
stella principale del sistema è quella visibile a occhio
nudo: è una stella pulsante (Variabile Cefeide) che cambia
la sua luminosità del 16% durante un periodo di quasi
quattro giorni.
La
costellazione dell'Orsa Minore
Il
sistema stellare triplo della Stella Polare
Poiché si trova quasi perfettamente sulla proiezione in
cielo dell'asse di rotazione terrestre, α Ursae Minoris
è apparentemente ferma nel cielo mentre tutte le altre
stelle sembrano ruotarle attorno in senso antiorario.
Naturalmente, la definizione di stella polare non vale solo
per la Terra, ma anche per gli altri pianeti del sistema
solare: il loro asse di rotazione è orientato diversamente
rispetto a quello terrestre e ciò implica un differente
sistema di riferimento.
L’asse di rotazione terrestre però (così come quello degli
altri pianeti) non è sempre fisso: esso compie un moto
circolare sulla sfera celeste detto moto di precessione,
descrivendo un immaginario cono (un po’ quello che succede
per una trottola che sta per fermarsi) e compiendo un giro
completo nell’arco di 25800 anni circa.
Stelle
in rotazione antioraria attorno la Stella Polare
Stelle
in rotazione antioraria attorno la Stella Polare
Marte compie invece un moto di precessione in circa 175000
anni terrestri (per calcolare il periodo di precessione per
ogni corpo si deve tener presente che esso è proporzionale
al momento d’inerzia del corpo stesso e inversamente
proporzionale al periodo di rotazione del corpo e al momento
meccanico della forza risultante che agisce su di esso).
Da ciò segue che la nostra Stella Polare non è, non è stata,
e non sarà l’unica stella ad assumere il ruolo
importantissimo di indicare in buona approssimazione il nord
geografico. Nel corso della storia della Terra, infatti,
questo ruolo è toccato (è toccherà di nuovo in futuro) anche
a Vega, la stella più brillante della costellazione
della Lira, a Thuban una stella facente parte della
costellazione del Dragone e ad Alrai, stella doppia
situata nella costellazione del Cefeo.
L’attuale stella polare, tenendo conto sia del sopracitato
moto di precessione della Terra sia del moto proprio della
stessa stella (cioè dello spostamento all’interno della
galassia), raggiungerà la minima distanza dal polo nord
celeste nel febbraio del 2102. Oltre al moto di precessione,
è presente anche un moto di nutazione: esso è un moto
di oscillazione dell’asse di rotazione di un oggetto che si
manifesta in combinazione con un moto di precessione (vedi
figura). Questo implica che il numero di stelle che
diventano periodicamente polari è in realtà leggermente più
alto: a causa del moto di nutazione infatti, c’è, per così
dire, più “varietà di scelta”.
Moto di
"nutazione" della Terra
Moto di
"precessione" della Terra
Per la sua caratteristica di indicare costantemente il nord,
α Ursae Minoris è stata impiegata da secoli per
l’orientamento sulla superficie terrestre: gli antichi
marinai ad esempio, non disponendo di strumenti come la
bussola, l’astrolabio o l’ottante (magari ancora non
inventati) potevano orientarsi solo utilizzando la posizione
della Stella Polare o quella del Sole a mezzogiorno (che, a
quell’ora, è sempre opposto alla Stella Polare, indicando in
questo modo il sud).
E’ molto facile trovare la costellazione dell’Orsa Minore e
la Stella Polare: basta partire dalle due stelle del Gran
Carro Merak e Dubhe e prolungare la loro
distanza per cinque volte fino a incontrare α Ursae
Minoris (vedi figura). Prestando attenzione, si
riusciranno a osservare anche le altre stelle della
costellazione, seppur poco luminose.
Molti sostengono che la Stella Polare sia la stella più
luminosa del cielo o che sia la stella più grande o la
stella che appare per prima la sera, oppure sostengono che
si trovi esattamente allo zenit. Ebbene, la Stella Polare
non è nulla di tutto questo. Essa è semplicemente la stella
che indica il nord, qui sulla Terra.
Le sue caratteristiche fisiche sono le seguenti: il suo
raggio è pari a circa 30 volte il raggio del nostro Sole e
la temperatura superficiale è pari a 7200 gradi Kelvin; la
sua massa è invece pari a 5 o 6 masse solari.
Come
trovare la Stella Polare
E nell’emisfero australe? In questo emisfero esiste una
stella polare che indichi il sud? In generale, un pianeta
possiede due stelle polari: una per il polo nord, l’altra
per il polo sud (ad esempio, 15 Orionis è la stella
polare che indica il sud su Urano, δ Octantis quella
che indica il sud su Saturno, δ Doradus quella che
indica il sud sulla nostra Luna, ecc.).
Tali stelle potrebbero però non essere sufficientemente
luminose da essere visibili a occhio nudo e spesso si
ricorre a particolari allineamenti tra stelle più brillanti
per stabilire in buona approssimazione la posizione del
polo. Attualmente, per quanto riguarda il pianeta Terra, la
stella più vicina al polo sud celeste è σ Octantis,
ma la sua scarsa luminosità la rende difficilmente visibile
a occhio nudo; viene allora utilizzata la costellazione
della Croce del Sud, composta da stelle molto più luminose:
si sfrutta l’allineamento delle stelle Gracrux e
Acrux che puntano verso sud.
Naturalmente, chi vive in prossimità dell’equatore
riesce a osservare sia la stella α Ursae Minoris,
sia la costellazione della Croce del Sud: nella zona
equatoriale infatti, entrambe si trovano basse
sull’orizzonte e opposte una all’altra.
Per finire, una curiosità: non tutti i corpi del
sistema solare hanno una stella polare! Alcuni
asteroidi, ad esempio, hanno due assi di rotazione
(a causa dell’impatto con altri oggetti celesti) e
per questo motivo se un eventuale astronauta
esplorasse la loro superficie, non vedrebbe nessuna
stella rimanere fissa in cielo.
La
costellazione della "Croce del Sud" nell'Emisfero
Australe
Vitantonio Primiceri
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Pubblicazione
n° 6 della “SSER
Sezione Studio e Ricerca”
L'Esistenza del BOSONE DI HIGGS, la PARTICELLA della
MASSA
(di Vitantonio Primiceri)
La scoperta del bosone di
Higgs, annunciata ufficialmente il 4 luglio 2012, era
nell’aria già da tempo.
Tale particella prende il
nome da un fisico britannico, Peter Higgs, che ha dato un
importante contributo allo sviluppo delle teorie fisiche che
cercano di spiegare l’origine della massa delle particelle
elementari. Il cosiddetto “Meccanismo di Higgs”
prediceva infatti l’esistenza di una nuova particella
subatomica, chiamata per l'appunto ”bosone di Higgs”.
Il logo
dell'Esperimento ATLAS
Peter
Higgs
Ed ecco la notizia: il
bosone di Higgs è stato in effetti osservato. Gli
esperimenti CMS e ATLAS, condotti presso il
CERN di Ginevra, hanno rilevato una particella compatibile
con le caratteristiche del bosone di Higgs. Questa
particella conferisce massa a tutte le altre particelle
esistenti e quindi a tutta la materia dell’Universo
visibile.
L’importanza di questa
particella è dovuta al fatto che essa è necessaria per
completare il cosiddetto Modello Standard (MS), una
teoria quantistica dei campi che è in grado di descrivere
tre delle quattro forze naturali fondamentali: l’interazione
forte, l’interazione elettromagnetica e quella debole
(queste ultime due sono state unificate nell’interazione
elettro-debole) e tutte le particelle elementari collegate
a queste forze. La forza gravitazionale rimane esclusa da
tale modello.
Un
evento nell'acceleratore di particelle
Large
Hadron Collider (LHC)
Le equazioni di base del
Modello Standard sembrano richiedere che tutte le particelle
elementari siano prive di massa. Peter Higgs, insieme ad
altri fisici propose allora nei primi anni sessanta una
nuova teoria per cercare di integrare le equazioni di tale
modello e renderle compatibili con il fatto che le
particelle elementari hanno una massa.
Il Modello Standard comprende 24 particelle elementari
organizzate in due famiglie: i quark e i leptoni. I quark e
i leptoni sono i veri e propri costituenti della materia.
Altre 12 particelle invece, trasportano le quattro forze
della natura. Il bosone di Higgs costringe queste particelle
a interagire e ad aggregarsi, dando loro una massa. Una
descrizione molto simpatica del bosone di Higgs viene fatta
paragonandolo ad un personaggio famoso che entra in una
stanza piena di persone: il personaggio famoso attira a sé i
presenti e mentre egli si muove attrae le persone più vicine
a lui, che sono in cerca magari di un suo autografo. Questo
affollamento che si crea aumenta la resistenza al movimento
e il personaggio acquisisce massa. Allo stesso modo, le
particelle che attraversano il campo di Higgs (un campo che
permea lo spazio e che è pieno di questi bosoni),
interagendo tra loro, riducono la loro velocità a causa di
questa forma di attrito: esse allora non viaggiano più a
velocità prossime a quelle della luce e acquisiscono una
massa.
L'Esperimento ATLAS
Un
evento nell'acceleratore di particelle
Il bosone di Higgs era fino a poco tempo fa l’unica
particella prevista dal Modello Standard a non essere ancora
stata osservata. Tale particella è stata cercata facendo
scontrare dei fasci di protoni ad altissima energia
all’interno degli acceleratori di particelle presenti al
CERN di Ginevra. Dopo lo scontro, essendo il bosone di Higgs
poco stabile, esso decade quasi subito ed è quindi
estremamente difficile osservarlo direttamente nell’enorme
quantità di particelle che vengono generate dalla collisione
dei fasci di protoni. Lo scorso dicembre però era già stata
trovata una traccia del bosone in questione. Certo, poteva
trattarsi di un errore oppure di una traccia di una
particella comunque molto diversa da quella aspettata, ma
analisi statistiche e ulteriori conferme hanno dato una
probabilità di errore (cioè una probabilità che non si
trattasse del bosone di Higgs) pari allo 0.000028 % con
l’esperimento CMS e addirittura inferiore a questo
valore con l’esperimento ATLAS. Le verifiche del
Modello Standard si sono mostrate (fino ad oggi) in accordo
con le previsioni, ma tale modello, non si può considerare
definitivo in quanto, come già accennato, non include una
descrizione della forza di gravità e non è compatibile con
la relatività generale di Albert Einstein.
Peter
Higgs
Uno degli eventi candidati Higgs
registrati da CMS
Il Modello Standard
perciò, è un modello senza dubbio aperto e in continuo
aggiornamento; ulteriori scoperte potrebbero suggerire che è
necessario guardare oltre e considerare altre teorie. Erano
già presenti infatti altri modelli, tra cui il modello
dinamico della superunificazione e del dualismo
onda-particella elaborato dal fisico Alex Kaivarainen, che
rifiutavano l’esistenza del bosone di Higgs.
Il bosone di Higgs è noto al pubblico anche con il nome di
“particella di Dio”. Questo nome deriva da un libro di Leon
Lederman (fisico statunitense) “The God Particle”,
pubblicato nel 1993. Tale titolo derivò da una censura da
parte dell’editore del titolo originale “The Goddam
Particle” (“La Particella Maledetta”).
La fisica moderna è dunque
in continuo stravolgimento: la confermata esistenza
del bosone di Higgs ha aperto nuovi dubbi su alcune
teorie e nuove domande cercano impazienti una
risposta. I due esperimenti continueranno nel corso
dei prossimi mesi a raccogliere nuovi dati grazie al
Large Hadron Collider (LHC), l’acceleratore
di particelle situato presso il CERN di Ginevra.
Grazie a questi dati sarà approfondito lo studio
della particella.
Vitantonio Primiceri
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Pubblicazione
n° 5 della “SSER
Sezione Studio e Ricerca”
Un "COLOSSO"
INCANDESCENTE
(di Vitantonio Primiceri)
Il Sole è stato sempre considerato dall’uomo come un’entità
dal significato speciale. Molte culture antiche lo
concepivano come una divinità da adorare o come un fenomeno
soprannaturale.
Grazie all’introduzione del telescopio in astronomia, si
delineò nel XVII secolo un nuovo approccio allo studio del
Sole. Da allora fu considerato un corpo in evoluzione e fu
studiato sistematicamente.
La struttura del Sole
Joseph von Fraunhofer
Gli studi
sulla rifrazione e sulla dispersione della luce di
Joseph von Fraunhofer nei primi anni del 1800 portarono
all'invenzione dello spettroscopio e allo sviluppo della
scienza della spettroscopia. Tali strumenti furono presto
utilizzati per l’analisi dello spettro solare: l’accuratezza
degli studi di Fraunhofer, infatti, gettò le basi per lo
studio dell’atmosfera solare. Questi studi indicarono che la
nostra stella è composta di materia ordinaria: il 74% della
sua massa è composto da idrogeno, il 24-25 % da elio, con
tracce di elementi più pesanti. Il Sole emette energia in
modo approssimativamente costante in ogni direzione dello
spazio. Ogni secondo, 594 milioni di tonnellate di idrogeno
vengono trasformate in 590 milioni di tonnellate di elio; i
4 milioni di tonnellate di differenza vengono trasformati in
energia (come viene spiegato dalla legge di Einstein QUOTE
():
un’energia impressionante, paragonabile a quella rilasciata
da un’esplosione di una bomba atomica di 100 miliardi di
megaton.
Come la
Terra e i restanti pianeti del sistema solare, la nostra
stella ha un nucleo centrale di 300.000 km di diametro. Qui
la temperatura raggiunge i 16.000.000 di gradi Kelvin e la
densità è 150 volte quella dell’acqua. Il raggio medio è di
696.000 km, circa 110 volte quello terrestre: il suo volume
è quindi 12.000 volte quello del nostro pianeta.
Le macchie solari
Un ingrandimento di tre macchie solari
I progressi
nello studio del Sole furono ottenuti anche grazie allo
sviluppo di nuovi strumenti di misurazione: lo
spettroeliografo, che consente di rilevare alcune
caratteristiche della cromosfera e della fotosfera; il
coronografo, che consente lo studio della corona solare
anche in assenza di eclissi; il magnetografo, che misura
l’intensità del campo magnetico sulla superficie solare.
Nei primi anni del 1900, l’astronomo George Ellery Hale
scoprì che le macchie solari, regioni della superficie
caratterizzate da una temperatura minore rispetto
all’ambiente circostante, sono sede di forti campi
magnetici. Le macchie solari compaiono di solito a coppie e
hanno dei cicli di vita di undici anni: un’ipotetica macchia
che si trovi nell’emisfero meridionale del Sole ha polarità
opposta rispetto a quella che si trova nell’emisfero
settentrionale (le macchie solari tendono a formarsi
simmetricamente nei due emisferi e alla stessa latitudine).
Alla fine del ciclo di undici anni la polarità s’inverte e
inizia così un nuovo ciclo. Tali macchie hanno però vita
breve poiché durano in media qualche mese: per ciclo solare
s’intende perciò un insieme di processi ben più profondi,
non meramente basato sull’osservazione e il monitoraggio di
queste particolari regioni della superficie solare.
Il campo magnetico terrestre incontra il vento
solare
La
tempesta solare del 30 ottobre 2003 (SOHO)
Lontano dalla
superficie del Sole, circa a uno o due raggi solari di
distanza, l’intensità del campo magnetico del Sole è
talmente forte da intrappolare il materiale caldo
proveniente dalla corona, la parte esterna dell’atmosfera
solare che si estende per decine di milioni di kilometri
nello spazio, in modo tenue. Il flusso di materiale espulso
dalla corona è detto vento solare ed è la causa delle
meravigliose aurore boreali e australi; tali bagliori si
manifestano quando il vento solare (costituito da particelle
cariche, cioè protoni ed elettroni) viene catturato dal
campo magnetico terrestre: queste particelle collidono con
le molecole di gas dell’atmosfera terrestre, eccitandole;
tale fenomeno provoca così l’emissione di luce visibile.
Alcune aurore sono state osservate anche nell’atmosfera di
altri pianeti del sistema solare, in particolare in quella
di Giove.
Schema semplificato delle reazioni di fusione
nucleare che avvengono sul Sole
Il Sole
continuerà a bruciare il suo carburante (cioè a trasformare
l’idrogeno in elio e l’elio in elementi più pesanti) per
altri 4,5 miliardi di anni ma una volta esaurito il suo
combustibile, si espanderà fino a raggiungere l’orbita della
Terra diventando una stella gigante rossa, molto più
brillante ma più fredda. Passata questa fase, la nostra
stella si contrarrà e diventerà una nana bianca: la
sua densità aumenterà di conseguenza, e la stella si
raffredderà lentamente per miliardi di anni.
Con l’inizio
dell’era spaziale e delle esplorazioni del sistema solare,
numerosi sono stati i satelliti esploratori della nostra
stella: i primi satelliti progettati per l’osservazione
solare furono i Pioner 5, 6, 7, 8
e 9 della NASA. Negli anni ‘70 la sonda Helios 1
e la stazione spaziale Skylab fornirono agli
scienziati numerose informazioni sul vento solare e sulla
corona.
La sonda Ulysses
La sonda SOHO(Solar and Heliospheric
Observatory) fu lanciata nel 1995 si è rivelata
un gran successo poiché ha garantito un’osservazione
costante della nostra stella in gran parte delle
lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico. La
sonda Ulysses venne lanciata nel 1990 per
studiare le regioni polari del Sole. Più recente è
invece la missione STEREO (Solar Terrestrial
Relations Observatory) che ha il compito di
creare una visione stereoscopica (ovvero in tre
dimensioni) della nostra stella.
Vitantonio Primiceri
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Pubblicazione
n° 4 della “SSER
Sezione Studio e Ricerca”
La GRAVITAZIONE
UNIVERSALE
(di Vitantonio Primiceri)
L’esperienza quotidiana ci dice che
ogni corpo, se lasciato libero di cadere da fermo, raggiunge
il suolo con una certa velocità. Ogni corpo è dunque
soggetto ad una forza rivolta verso il basso che lo accelera
fino a che esso non incontri un ostacolo in grado di
interrompere il suo moto.
Le leggi fisiche che spiegano perché
se lanciamo una pietra verso l’alto essa tende a ritornare
verso il basso sono le stesse leggi che spiegano i moti di
rivoluzione dei pianeti del sistema solare intorno al Sole,
i moti delle stelle, delle galassie, e in generale di ogni
altro oggetto celeste: sono le leggi della gravitazione
universale.
L’astronomo greco
Tolomeo
Il “Sistema
Tolemaico”
Fin dall’antichità molti astronomi
hanno cercato di descrivere in dettaglio i moti dei pianeti.
I primi tentativi furono fatti dagli
antichi greci: Tolomeo nel II secolo a.C. sviluppò una
teoria secondo la quale la Terra è ferma al centro e i
pianeti, il Sole e la Luna ruotano attorno ad essa. Per
l’astronomo però, tali astri non descrivono semplici orbite
circolari e i loro moti sono più complicati: egli li
descrive usando il concetto di epiciclo, secondo il
quale un pianeta compie nel suo moto un cerchio attorno a un
centro che, a sua volta, descrive un altro cerchio avente
come centro la Terra (vedi figura in alto a destra).
Niccolò Copernico (1473 – 1543) si
rese conto che il sistema tolemaico presentava molte
ambiguità. Egli propose allora un modello nel quale il Sole
si trova al centro del sistema solare e la Terra insieme
agli altri pianeti ruotano attorno ad esso (vedi figura
in basso): questo modello però, pur essendo più semplice
di quello tolemaico, non fu subito accettato
Il “Sistema
Copernicano”
Niccolò Copernico
Anni dopo, l’astronomo danese Tycho
Brahe raccolse numerosi dati sui moti dei pianeti.
Questi dati furono analizzati da
Giovanni Keplero (1571-1630), il suo assistente. Egli
individuò delle regolarità nel moto dei pianeti che lo
portarono alla formulazione delle tre leggi che portano il
suo nome.
Nel 1665 Isaac Newton, riuscì ad
intuire che la forza che causa la caduta di una mela sulla
superficie della Terra è la stessa che tiene la Luna
vincolata alla sua orbita (prima di Newton il moto dei
pianeti era sempre stato considerato diversamente dal moto
dei corpi terrestri). Questa intuizione pose le basi per la
formulazione di una legge della gravitazione valida per
qualunque coppia di corpi nell’universo.
Ma che cos’è esattamente la forza di
gravità?
L’interazione gravitazionale è una
delle quattro interazioni fisiche fondamentali. Esse sono
l’interazione forte, l’interazione debole, l’interazione
elettromagnetica e quella gravitazionale. Quest’ultima
appunto è dovuta alla presenza di massa. Le altre forze
possono essere sia attrattive che repulsive (ad esempio due
cariche elettriche possono attrarsi o respingersi, così come
possono farlo due calamite), la forza gravitazionale,
invece, è sempre attrattiva.
La legge di Newton della gravitazione
universale può essere così formulata: due qualsiasi
particelle dell’universo si attraggono con una forza il cui
modulo è direttamente proporzionale al prodotto delle loro
masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro
distanza. Essa è diretta lungo la congiungente le due
particelle. Quanto appena detto viene scritto in simboli
come: ,
dove G è una costante universale che ha lo stesso valore per
tutte le coppie di particelle (essa vale ),
m1 e m2 rappresentano le due masse
in questione e r la distanza tra esse.
La forza che causa la caduta di una
mela sulla superficie terrestre è la forza di
gravità
Isaac Newton
Alcuni
esperimenti indicano che la forza di attrazione
gravitazionale tra due particelle qualsiasi non dipende
dalla presenza di altri corpi e dalle proprietà del mezzo in
cui esse sono immerse. Per fare un esempio, la forza
gravitazionale misurata tra due piume che si trovano nello
spazio libero e quella che intercorre tra le due stesse
piume immerse in un liquido è perfettamente uguale nei due
casi (a costo che la distanza tra esse rimanga uguale).
Ma l’intuizione
di Newton non fornisce risultati corretti se l’interazione
gravitazionale tra due corpi è molto forte. Nei primi anni
del 1900, Albert Einstein riuscì ad elaborare una nuova
teoria in grado di risolvere questo problema: tale teoria
fornisce risultati corretti se l’interazione gravitazionale
è forte e si risolve in quella newtoniana se tale
interazione è debole.
Al giorno d’oggi la teoria della
gravitazione viene utilizzata per stabilire le
orbite delle navicelle spaziali inviate dalla Terra
verso il nostro sistema solare e oltre. Questa
preziosa legge inoltre ci permette di calcolare con
accurata precisione l’istante in cui è avvenuta o
avverrà un’eclissi solare o un altro fenomeno
celeste. Sempre questa legge ha permesso a
Johann
Gottfried Galle e a Heinrich Louis d'Arrest di
scoprire il pianeta Nettuno: i due astronomi
notarono alcune piccole deviazioni di Urano dalla
sua orbita e pensarono di poterle attribuire
all’attrazione gravitazionale di un pianeta ancora
sconosciuto.
La cometa
“Halley”
Anche Edmond Halley riuscì ad
utilizzarla per predire il ritorno (del 1758) della
cometa che oggi porta il suo nome. Essa ritornerà
nell’estate del 2061!
Vitantonio Primiceri
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Pubblicazione n° 3 della “SSER
Sezione Studio e Ricerca”
DISTANZE
“ASTRONOMICHE”
(di Vitantonio Primiceri)
La precisione nella misura di distanze astronomiche è
estremamente relativa... Queste distanze sono completamente
estranee alla nostra quotidianità, poiché le lunghezze con
cui si ha a che fare in astronomia sono molto spesso
inimmaginabili. Con i progressi fatti in ambito tecnologico
si è cercato sempre più di aumentarne la precisione, ma è
ovvio che se si tratta di distanze enormi, non si è più in
grado di effettuare misure “precise al millimetro”. E’
piuttosto probabile che si sia in grado di dare una stima
abbastanza accurata della misura della lunghezza in
questione.
Facciamo ora qualche esempio, in modo da renderci conto
della sterminata vastità dell’Universo.
Partiamo analizzando la distanza di uno degli oggetti più
vicini alla Terra: stiamo parlando del nostro satellite
naturale, la Luna. La distanza media della Luna dalla Terra
è di circa 384.400 Km.
Per effettuare misurazioni accurate in tempo reale della
distanza Terra-Luna, si impiega la tecnologia laser: gli
impulsi vengono infatti inviati da appositi telescopi verso
le apparecchiature riflettenti installate sulla Luna e viene
calcolato il tempo di andata e ritorno dell’impulso. La
distanza Terra-Luna sarà data dalla metà di tale tempo
moltiplicata per la velocità della luce (applicando la
semplice formula spazio = velocità x tempo). Utilizzando
questo metodo si possono ottenere misure molto precise di
tale distanza (basti considerare che un errore di un
millimetro è causato da un errore di un milionesimo di
milionesimo di secondo sulla misura del tempo).
Prima di andare avanti, introduciamo un’altra unità di
misura utilizzata molto dagli astronomi:
l’anno luce.
Un anno luce, come dice il nome stesso, equivale allo spazio
percorso viaggiando nel vuoto dalla luce in un anno. La
velocità della luce nel vuoto è pari a
299.792,458
km/s.
Con un semplice calcolo si può trovare subito il valore in
kilometri di un anno luce: 299.792,458 x 365 x 24 x 60 x 60
= 9.454.254.955.488 km
(detto in breve: novemilacinquecento miliardi di kilometri).
Consideriamo ora il Sole.
La Terra dista dal Sole in media 149.597.870 km (
= 1 Unità Astronomica, altra unità di
misura ampiamente utilizzata), che in anni luce
corrispondono a circa 8,33 minuti luce (il
minuto luce è un sottomultiplo dell’anno luce).
Plutone invece si trova a 5,3 ore luce dalla
Terra (la luce del Sole impiega cioè 5,3 ore per
arrivare fino a Plutone).
Usciamo ora dai confini del Sistema Solare e
andiamo a considerare la distanza della stella a
noi più vicina: Proxima Centauri.
Se potessimo farlo, dovremmo viaggiare alla velocità di
299.792,458 km/s per circa 4
anni prima di incontrare tale stella. Sono distanze enormi e
difficili da immaginare e comprendere.
Volendo fare un modellino in scala usando per la Terra una
pallina da 1 cm di diametro, bisognerebbe porre la Luna a
circa 30 cm di distanza e Proxima Centauri circa 40.000 km
più lontano.
Spingiamoci oltre e consideriamo
ora l’Ammasso Globulare di Ercole (conosciuto
anche come M13). E’ l’ammasso più luminoso
visibile dall’emisfero boreale e contiene
diverse centinaia di migliaia di stelle. La sua
distanza dalla Terra è pari circa a
23.157 a.l. Volendo conoscere la sua
distanza dalla Terra in kilometri basta
ovviamente moltiplicare
23.157 x
9.454.254.955.488. L’Ammasso
Globulare di Ercole si trova, così come tutte le
stelle visibili in cielo, all’interno della
nostra galassia:
a Via Lattea, formata secondo le
migliori stime da circa 400 miliardi di stelle.
Come quella delle altre galassie, le dimensioni della Via Lattea
sono grandissime.
Essa ha un diametro di 100.000 anni luce. E la Terra non è
altro che un insignificante puntino ospitato al suo interno.
La
Via Lattea, la nostra Galassia
L’unità di misura del “parsec”
Per cercare di facilitare i calcoli numerici evitando di
avere a che fare con cifre impressionanti, gli astronomi
utilizzano anche un’altra unità di misura delle distanze
astronomiche: il parsec (pc). La sua definizione si
basa sul metodo della parallasse trigonometrica, che qui non
è il caso di spiegare. Basta dire soltanto che 1 pc equivale
a circa 3,261507
anni luce.
Allontaniamoci ora dalla nostra galassia e spostiamoci verso
quella a noi più vicina: la Galassia di Andromeda (M31).
Essa dista dalla Terra circa 2,54
± 0,06 milioni dia.l.,
equivalenti a circa
779.000 +/-
180pc.
E’ una distanza incredibile; tale galassia è visibile anche
ad occhio nudo e si tratta dell’oggetto più lontano visibile
dall’uomo senza l’utilizzo di uno strumento ottico. Per
fare un altro esempio, la Galassia Sombrero (si trova nella
costellazione della Vergine) è distante invece circa 29,5
milioni di a.l. (9,0 milioni di pc).
La
Galassia di Andromeda M31
Il
Telescopio spaziale “Hubble”
Ovviamente l’occhio dei telescopi si è spinto ben oltre
queste distanze. Sono stati osservati oggetti distanti
addirittura miliardi di anni luce. E’ stata infatti
osservata dal telescopio spaziale Hubble una galassia
lontana ben 13,2 miliardi di anni luce dalla Terra! E’ forse
una delle prime che si siano formate dopo il Big Bang. Il
telescopio Hubble ha osservato una piccolissima regione del
cielo, eppure in quelle immagini c’erano migliaia e migliaia
di galassie.
Tornando sulla Terra, c’è da sottolineare che l’uomo ogni
giorno è a contatto con unità di misura di lunghezza
decisamente più accessibili: il metro, i suoi multipli e i
suoi sottomultipli. Sicuramente, sentir parlare di anni luce
o di parsec affascina, così come affascina sapere che la
dimensione del diametro del Sole è circa 110 volte quello
della Terra o che la dimensione del raggio della stella più
grande conosciuta (VY
Canis Majoris) è 1800-2100
volte più grande diquellodelSole.
Oppure ancora rendersi conto che tale stella
non è altro
che un piccolo insignificante granello di polvere
nell’enorme “stanza dell’Universo”.
Ecco un affascinante video che riproduce in scala le grandezze
di alcuni pianeti e di alcune stelle...
Vitantonio Primiceri
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Pubblicazione n° 2 della “SSER Sezione Studio e Ricerca”
ASTRONOMIA e MITOLOGIA
(di Vitantonio Primiceri)
Se si osserva il cielo da un luogo abbastanza buio, lontano da fonti luminose, il numero di stelle visibili in una notte è pari circa ad un migliaio.
A prima vista, il cielo potrebbe sembrare un groviglio inestricabile di puntini luminosi ma un osservatore paziente e fantasioso, anche non avendo nessuna nozione di astronomia, potrebbe comunque essere in grado di identificare nel cielo stellato forme geometriche ben precise. E’ questo in sostanza ciò che l’uomo ha fatto fin dai tempi del Paleolitico: osservare il cielo stellato era importante sia per orientarsi, misurare lo scorrere del tempo o definire il periodo della semina e del raccolto, sia per interpretare determinati eventi chiedendo aiuto alle divinità astrali.
Nacquero presto le prime costellazioni (dal latinoconstellatio, cum+stellatus), gruppi di stelle che assumono una particolare forma sulla volta celeste. Queste forme, è ovvio, sono frutto della pura immaginazione dell’uomo e le stelle che nel cielo appaiono vicine tra loro, nello spazio tridimensionale potrebbero trovarsi molto distanti (è solo una questione di prospettiva). Bisogna sottolineare che ciascun popolo ha composto le sue figure e ha dato loro un nome secondo la propria fantasia, lasciandosi ispirare dalla propria cultura. Certamente la tradizione greca insieme con quella romana e araba ha poi influenzato tutto il mondo occidentale.
Oggi con il termine costellazione ci si riferisce sia alla figura formata da stelle specifiche, sia alla precisa regione di cielo racchiusa da determinati confini. L’UAI (Unione Astronomica Internazionale) ha diviso l’intero cielo in 88 costellazioni ufficiali, ognuna con dei confini ben precisi. Le 88 costellazioni si dividono in tre gruppi: 18 costellazioni boreali, 34 equatoriali e 36 australi.
Crono divora Poseidone (dipinto di Rubens)
Le costellazioni visibili dall’emisfero boreale hanno nomi che, come detto, si rifanno alla mitologia classica. Per fare alcuni esempi, la costellazione di “Orione” ha il nome di un famoso cacciatore che, secondo la leggenda, si vantava di riuscire a sottomettere qualsiasi animale; “Cassiopea”, invece, credeva di essere la più bella delle Nereidi, le ninfe del mare; la costellazione dello “Scorpione” è dedicata allo scorpione che secondo la mitologia punse a morte Orione; la “Corona Boreale” (un diadema d’oro creato da Efesto) è simbolo del dono che Dioniso dette ad Arianna, figlia di Minosse e Pasifae, come regalo di nozze: secondo il mito, il diadema divenne in seguito una costellazione.
La costellazione di Orione
La costellazione di Cassiopea
Anche il nome di alcune stelle deriva dalla tradizione classica. Emblematico è il caso delle due stelle più brillanti della costellazione dei Gemelli, Castore e Polluce: questi sono due personaggi della mitologia greca e romana, figli gemelli di Zeus e Leda, conosciuti come i Diòscuri (ossia “figli di Zeus”); la stella più brillante della costellazione dello Scorpione, Antares, ha invece il nome che deriva dal greco e significa “rivale di Marte”: il suo colore è infatti rosso-arancione, simile a quello del pianeta.
La maggior parte delle altre stelle ha nomi parlanti che ne descrivono particolari caratteristiche: Altair, ad esempio, la stella più luminosa della costellazione dell’Aquila, è l’abbreviazione di un’espressione araba che significa “l'aquila volante”; il nome originario della stella Vega, deriva da una trascrizione di una parola araba estratta dalla frase “l’avvoltoio planante”; Aldebaran, la stella più luminosa della costellazione del Toro, deriva il suo nome dalla parolaarabaal-Dabarān, che significa "l'inseguitore", poiché la stella sembra seguire l'ammasso stellare dellePleiadi nel suo moto notturno.
La costellazione della Corona Boreale
La costellazione del Toro
Per concludere (l’elenco è infatti molto lungo!) citiamo Deneb, stella più luminosa della costellazione del Cigno, che deriva il suo nome dall'espressionearabaDhànab al-'Ukàb(La "coda" del cigno).
Le costellazioni dell’emisfero sud erano invece sconosciute nell’antichità e i loro nomi non hanno perciò nessun riferimento mitologico. Tali costellazioni sono state scoperte durante il XVII secolo, il secolo delle grandi esplorazioni. L'abateNicolas-Louis de Lacaille(15 Marzo 1713 – 21 Marzo 1762) astronomo francesepubblicòil Coelum Australe Stelliferum e introdusse 14 nuovecostellazioni australi: laBussola, ilBulino, ilCompasso, laFornace, laMacchina Pneumatica, laMensa, il Microscopio, l'Orologio, l'Ottante, ilPittore, ilRegolo, ilReticolo, loScultore ed ilTelescopio. Molte delle costellazioni australi sono dunque dedicate a nuovi strumenti scientifici o a nuove specie animali (ad esempio la costellazione del Tucano o quella del Pavone).
La costellazione del Pavone nell’emisfero australe
La costellazione del Telescopio nell’emisfero australe
Anche i nomi dei pianeti del sistema solare, infine, sono fortemente legati alla mitologia classica (formano addirittura un albero genealogico): Urano, dio del cielo e sposo di Gea (Terra) è il padre dei Titani (ciclopi e giganti dalle cento braccia). Fra essi, il più importante è Crono (Saturno). Zeus (Giove) è figlio di Crono, e sposa la sorella Era. Ares (Marte) è figlio di Zeus ed Era; Ermes (Mercurio) è invece figlio di Zeus e Maia; Afrodite (Venere) è figlia di Zeus e Dione. Poseidone (Nettuno), dio del mare, è fratello di Zeus.
Analogo discorso si potrebbe fare con i nomi assegnati ai tanti satelliti naturali scoperti negli ultimi tre secoli.
Vitantonio Primiceri
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Pubblicazione n° 1 della “SSER Sezione Studio e Ricerca”
NEUTRINI. Viaggerebbero più veloci della luce.
(di Vitantonio Primiceri)
Negli ultimi mesi si è sentito spesso parlare di “neutrini”. Probabilmente quasi tutti ignorano la loro esistenza, eppure queste strane entità potrebbero mettere in crisi la teoria della relatività di Einstein e la fisica moderna.
Sulla Terra arrivano ogni secondo all’incirca 60 miliardi di neutrini per centimetro quadrato: essi sono prodotti dalle reazioni termonucleari che avvengono all’interno del Sole e attraversano indisturbati la Terra. Attraversano proprio tutto: enormi spessori di acqua, roccia e qualsiasi altra sostanza; sono particelle molto strane poiché per loro la materia è “trasparente” . Esperimenti recenti hanno mostrato che il neutrino ha una massa, seppur molto piccola: da 100'000 a 1'000'000 di volte inferiore a quella dell’elettrone (la massa dell’elettrone è circa uguale a 9.11 x 10^-31 kg). Queste particelle non hanno carica elettrica (da qui deriva il loro nome, coniato da Enrico Fermi, diminutivo di neutrone, un’altra particella neutra dotata di una massa di gran lunga maggiore) e ve ne sono di tre specie: elettronici, muonici e tau. Ogni specie oscilla, cioè si trasforma da una all’altra.
I neutrini interagiscono, seppur debolmente, solo attraverso la forza di gravità e la forza nucleare debole, ma gli scienziati negli ultimi trent’anni sono comunque riusciti a catturare con particolari artifici queste strane particelle per studiarne il comportamento. Il premio Nobel per la Fisica del 2002 è stato assegnato a tre scienziati: Riccardo Giacconi, Raymond Davis e Masatoshi Koshiba. Giacconi ha avuto il Nobel per essere stato il primo a scoprire astri che emettono raggi X; Davis e Koshiba sono stati premiati proprio per essere riusciti a catturare dei neutrini provenienti dallo spazio.
Albert Einstein
Il Rilevatore di Neutrini "OPERA" del Gran Sasso
Gli studi di Antonio Ereditato, fisico italiano e professore all’Università di Berna hanno sconvolto la comunità scientifica: i neutrini sarebbero in grado di viaggiare ad una velocità superiore a quella della luce, una scoperta, che se confermata, rivoluzionerebbe molti aspetti della fisica moderna. Il gruppo di ricerca, guidato dal prof. Ereditato ha condotto negli ultimi tre anni vari esperimenti sulla fisica del neutrino. Ed ecco la notizia del Settembre scorso: un fascio di neutrini generato artificialmente è stato proiettato dal CERN di Ginevra verso il rilevatore di particelle OPERA(Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus) del laboratorio sotterraneo del Gran Sasso su una distanza complessiva di circa 723 chilometri, ma il tempo impiegato per coprire tale distanza è stato inferiore di 60 nanosecondi rispetto al tempo che avrebbe impiegato la luce viaggiando nel vuoto (299'792,458 km/s). E’ come se il fascio di neutrini arrivato al traguardo, avesse lasciato indietro di una ventina di metri un ipotetico raggio di luce partito nello stesso istante. Potrebbe essere uno sbaglio sostengono in molti, ma la distanza percorsa è stata calcolata grazie a strumenti sofisticatissimi e il tempo impiegato è stato misurato servendosi di orologi atomici sincronizzati tra Ginevra e il Gran Sasso. La velocità dei neutrini fu già ricavata nel 1987 dall’esplosione di una supernova e si ottenne un valore molto vicino a quello della velocità della luce; nel 2007 un altro esperimento ottenne un valore della velocità simile a quello attualmente in questione, ma la misurazione venne considerata inaffidabile dal punto di vista statistico.
Alcune apparecchiature del laboratorio del Gran Sasso
La struttura sotterranea del laboratorio del Gran Sasso
Se confermata da altri studi ed esperimenti, la scoperta italo-svizzera avrebbe una portata storica: darebbe forza alle ipotesi (per ora fantascientifiche) di viaggiare indietro nel tempo e violerebbe il “principio di causalità”, secondo il quale la causa di qualsiasi fenomeno avviene sempre prima dell’effetto.
Tale scoperta sarebbe quindi in contrasto con il postulato fondamentale della teoria della relatività di A. Einstein, e cioè che nulla può superare la velocità della luce. Se una persona dall’interno della sua auto, che viaggia a 70 km/h, tira dal finestrino un oggetto con una velocità di 20 Km/h nella stessa direzione in cui l’auto viaggia, un’altra persona che osserva la scena dalla strada vedrà l’oggetto muoversi a 70 + 20 = 90 Km/h. Secondo Einstein ciò è vero solo se le velocità in questione sono molto più piccole della velocità della luce: in questo caso, sommando semplicemente le due velocità si ottiene un’ottima approssimazione del risultato vero. Il problema sorge se le velocità sono molto più alte, poiché la semplice somma non dà più il risultato corretto. Ritorniamo all’esempio dell’auto: immaginiamo un’auto ferma e con i fari accesi. La velocità della luce emessa dai fari sarà circa uguale a 300'000 km/s, cioè 300'000'000 m/s; ora immaginiamo che l’auto viaggi con i fari accesi con una velocità di 100 km/h, equivalente a circa 28 m/s. La velocità della luce emessa dai fari dell’auto in movimento, secondo il senso comune, sarà di 300'000'000 + 28 = 300'000'028 m/s. Ma non è così. La velocità della luce emessa dai fari con l’auto in movimento sarà sempre pari a 300'000'000 m/s. Ciò può sembrare strano, eppure è confermato da leggi matematiche. Gli uomini hanno a che fare nella vita di ogni giorno con velocità decisamente molto più piccole della velocità della luce e quanto detto sopra sembra non avere alcun senso.
L'acceleratore di particelle del CERN (Ginevra)
Sezione dell'acceleratore di particelle del CERN (Ginevra)
La velocità della luce nel vuoto è considerata dunque una costante e se ciò non dovesse essere più vero emergerebbero gravi contraddizioni che porterebbero necessariamente ad una ricostruzione profonda della fisica moderna. Intanto sono cominciati negli Stati Uniti alcuni esperimenti che dovrebbero confermare o smentire la notizia, mentre il lavoro tra Italia e Svizzera continua, concentrando la propria ricerca soprattutto sulla capacità dei neutrini di oscillare da una specie all’altra, obiettivo primario dell’esperimento.
Vitantonio Primiceri
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Vitantonio Primiceri
è nato il 19 Dicembre 1992 a Tricase (Le) e risiede
tutt'ora a Casarano (Le).
Ha
frequentato il Liceo Scientifico Statale “Giulio Cesare
Vanini” della stessa città, conseguendo la maturità col
massimo dei voti nel 2011. Attualmente è iscritto alla
Facoltà di Fisica dell’Università degli Studi di Lecce e
da tre anni fa parte dell’"Associazione Astronomica
San Lorenzo" con sede in Casarano. Vitantonio è appassionato di Astronomia, Fisica ed
Astrofisica... Questa sua passione lo ha portato a far
parte dell’Associazione suddetta collaborando
attivamente con essa in tutte le sue iniziative.